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martedì 20 gennaio 2015

Donbass: Tra guerra e possibili soluzioni

Poroshenko in posa con armi pesanti, foto: tuoitrenews.vn


Kiev rompe gli indugi e lancia un attacco massiccio nel Donbass, usando artiglieria pesante.

Le truppe ucraine, rinvigorite dalla tregua, possono sferrare un attacco decisivo (lo sperano a Kiev) per riappropriarsi delle zone ribelli, visto che “il presidente ucraino Petro Poroshenko ha emesso un decreto per mobilitare 50.000 militari sul fronte in Ucraina orientale” (1), ricercati tra uomini e donne tra i 25 e i 60 anni, preferibilmente con esperienza militare.

Ciò era inevitabile, è sempre stata palese l'intenzione del governo ucraino circa il sud-est del Paese, che deve necessariamente tornare sotto il pieno controllo di Kiev. I motivi sono ben chiari, visto che si tratta di una parte di quell'Est dell'Ucraina ricca di risorse e impianti industriali, oltre a quelli scontati del “prestigio” e dell'integrità territoriali, già compromessi a causa dalla perdita della Crimea, considerata terra occupata (si fa per dire, visto che la Crimea fu donata nel 1954 alla repubblica sovietica ucraina da un presumibilmente alticcio Kruscev per motivi essenzialmente economici).

Sui motivi per cui si è arrivati a questa situazione in Ucraina si è scritto molto, le ovvie e lampanti ingerenze straniere negli ultimi anni non sono le uniche motivazioni esistenti . La questione del Donbass è legata anche alla disastrosa situazione economica della nazione. Altri Paesi contesi tra l'influenza dell'Occidente e della Russia non hanno vissuto le drammatiche conseguenze dell'ex-granaio sovietico.

Un Paese in bancarotta e falcidiato dalla corruzione, tenuto in piedi da prestiti internazionali, sarebbe un peso non indifferente per qualunque organizzazione sovranazionale che decidesse di accoglierlo al suo interno nel breve periodo.

Per riprendersi non può rinunciare alle risorse minerarie e industriali del bacino del Donec, sarebbe come se gli USA rinunciassero alla Silicon Valley della California. Il deterioramento dei rapporti con Mosca, la cui ripercussione economica è pesantissima, spinge Kiev a reazioni poco ponderate, ma nella migliore delle ipotesi si ritroverà a dover accettare la concessione di larga autonomia per la regione in questione, il che significherà un serio ostacolo per la completa integrazione ucraina con la UE, rigettata dai filorussi, ostili anche alla NATO.

Gli indipendentisti filorussi sono la spina nel fianco per Poroshenko, rappresentano un impedimento per la realizzazione dei suoi disegni, che nella peggiore ipotesi mirano a provocare una reazione bellica ufficiale della Russia a difesa della minoranza russofona, oramai tradita dal governo centrale per via dei bombardamenti, eventualità che darebbe il pretesto alla NATO per intervenire ed addossare la colpa a Putin, responsabile di voler conquistare l'Ucraina e magari mezza Europa, come sostengono i russofobi più isterici (vedasi Polonia e Lituania).

La mobilitazione militare di queste ultime ore è un segnale di nervosismo, il governo ucraino non ha una soluzione e non è di certo pensabile l'espulsione dei russi della regione (probabilmente l'unica eventualità che consentirebbe di realizzare la soluzione più congeniale per Poroshenko e per i nazionalisti più intransigenti). Non si vuole arrivare ad un accordo permanente che in ogni caso comporterebbe rinunce per Kiev.

Il mantenimento del conflitto è utile per far arrivare aiuti da parte della UE e dagli USA, interessati a ridurre l'influenza russa ad est, di fatti “il presidente ucraino Petro Poroshenko ha respinto un piano di pace proposto a lui la scorsa settimana dal suo omologo russo Vladimir Putin” (2).

L'avvio dell'offensiva massiccia ha bisogno della consulenza straniera, visto che l'esercito e i paramilitari non sono riusciti ad avere la meglio sui separatisti russi, ufficiosamente sostenuti da Mosca, non è un caso che “ Vladislav Seleznyov, portavoce dello stato maggiore delle forze armate ucraine, ha detto lunedi che la delegazione guidata dal comandante dell'esercito USA in Europa Ten. Gen. Frederick Ben Hodges arriverà nel Paese entro questa settimana” (3).

Generale Hodges, foto: wikimedia.org
Frederick Ben Hodges è il comandante dell'“Allied Land Command” che “funge da consulente principale per l'Alleanza, offrendo le proprie competenze a sostegno delle forze di terra della NATO” (4). Una visita non di rappresentanza, ma palesemente operativa per dare manforte all'attacco ucraino, dato che nel Donbass è in atto una guerra prettamente terrestre fino adesso. Le ingerenze americane sono conclamate e non vengono più nascoste.

La sovranità ucraina è stata erosa in maniera paurosa, visto che il suo governo presenta ministri anche stranieri, ufficialmente per varare un governo di “rottura” vicino all'Occidente e per allontanarsi dall'endemica corruzione della classe dirigente ucraina. E' evidente invece un diktat su cui aleggia l'ombra di un noto sostenitore delle “rivoluzioni colorate”, visto che “il Presidente Poroshenko ci è riuscito scavalcando le usuali procedure e concedendo la cittadinanza ucraina, qualche giorno prima del voto, a  Aivaras Abromavicius, Natalie Jaresko e Aleksandre Kvitashvili, decisione, secondo alcune indiscrezioni dettata da Soros”(5).

George Soros, foto: Wikipedia
George Soros ha sempre dichiarato pubblicamente che ha avuto un ruolo determinante nei fatti in Ucraina ed esercita pressioni affinché sia l'Europa “a sborsare 50 miliardi di dollari di aiuti per sostenere l'Ucraina”(6) ed infatti è stato accolto con tutti gli onori la scorsa settimana.

L'Europa cosa fa? Approva una risoluzione che “condanna fermamente la politica aggressiva ed espansionistica della Russia, che costituisce una minaccia per l'unità e l'indipendenza dell'Ucraina e pone una potenziale minaccia per la stessa Unione europea, segnatamente l'annessione illegale della Crimea e la conduzione di una guerra ibrida non dichiarata contro l'Ucraina, ivi compresa una guerra informatica che combina elementi di ciberguerra, uso di forze regolari e irregolari, propaganda, pressioni economiche, ricatto energetico e destabilizzazione diplomatica e politica; sottolinea che queste azioni violano il diritto internazionale e costituiscono una grave minaccia alla situazione della sicurezza in Europa; sottolinea che non vi è giustificazione per l'uso della forza militare in Europa a difesa di cosiddette ragioni storiche e di sicurezza o per la protezione di sedicenti «compatrioti che vivono all'estero»; esorta Mosca a cessare di aggravare la situazione ponendo immediatamente fine al flusso di armi, di mercenari e di soldati in appoggio alle milizie separatiste e a esercitare la sua influenza sui separatisti per persuaderli a partecipare al processo politico...chiede il proseguimento dell'attuale regime di sanzioni imposto dall'UE, in particolare in vista della prossima riunione del Consiglio del marzo 2015, finché la Russia non rispetterà pienamente e soprattutto non metterà in atto gli obblighi assunti a Minsk” (7).

Si condanna fortemente la Russia e si va avanti con le sanzioni, mentre il governo di Kiev sconsideratamente aumenta le ostilità, le cui prime vittime sono i civili e persino strutture ospedaliere. In questo clima quale dialogo inclusivo auspicato dal Protocollo di Minsk si può sostenere?

Per l'Ucraina sembrano prospettarsi due strade ragionevolmente percorribili, la prima, decisamente tortuosa, è quella di un Ucraina all'interno della UE e della NATO senza il Donbass secessionista, la seconda è quella di un Ucraina neutrale che funga da cerniera tra UE e Russia (Unione Euroasiatica), con la concessione di una larga autonomia al Donbass stesso.

La via percorsa invece da Kiev fino adesso è quella dell'incosciente intransigenza, con la ripresa del controllo sull'Est dell'Ucraina contestualmente  all'assoggettamento forzato alle politiche liberali e occidentali della regione, senza alcuna considerazione per la minoranza russa.

Una via non percorribile, perché sta conducendo al massacro di migliaia di civili, miliziani russi e soldati ucraini.

La soluzione “cerniera” è quella più auspicabile, pur non accontentando a pieno le due parti in causa, che devono necessariamente rinunciare a qualcosa.  Sarà la scelta politicamente più elaborata da attuare, ma urge fermare il bagno di sangue e la politica, se non vuole essere responsabile di ulteriori eccidi, deve assecondare la sua natura di “arte del compromesso”.

Riferimenti:

1) Ukraine Today

2) Reuters

3) Press TV

4) Allied Land Command

5) Avanti Quotidiano

6) CNN Money

7) Parlamento Europeo

martedì 13 gennaio 2015

Ipocrisia Occidentale

Immagine: tvforum.co.uk
In questi giorni si fa un gran parlare di libertà di stampa e di censura. Tutti si ergono a paladini per la difesa della libertà di opinione, ma evidentemente questa libertà deve essere a senso unico.

Il giornalista della BBC Tim Willocox è stato oggetto di numerose proteste che chiedono a gran voce le sue dimissioni.

Durante un servizio sulla marcia di Parigi, è intervenuta in una intervista una donna figlia di genitori sopravvissuti all'Olocausto (partecipante alla manifestazione) che ha parlato di persecuzioni agli ebrei, dicendo la frase " la situazione sta tornado come ai giorni negli anni 30 in Europa".


Tim Willocox ha replicato in questi termini:

"Molti critici della politica di Israele suggeriscono che i palestinesi soffrono enormemente per mano ebraica"

Immagine da Twitter
Una frase coraggiosa, che rispecchia effettivamente una realtà di fatto in Medio Oriente, ma ciò sta suscitando fortissime proteste con richieste di dimissioni, che hanno costretto il giornalista a chiedere scusa su Twitter.


Perché tale reazione? Si può non essere d'accordo con il giornalista, che ha solo riportato ciò che dicono numerosi attivisti e numerosi rapporti ONU, ma chiedere le dimissioni non è forse ipocrita per chi intende difendere la libertà di stampa?

Il Presidente turco ha accusato Recep Tayyip Erdogan ha accusato il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu per la partecipazione alla manifestazione in Francia:

Foto: chitinews.com
"Fatico a capire come Netanyahu abbia osato andarci. Per una volta, dai conto dei bambini e delle donne che hai massacrato... Come si può guardare quest'uomo, che fa terrorismo di stato massacrando 2500 persone a Gaza, agitare la mano?...Agita la lano come se la gente lo voglia accogliere con entusiasmo".

Parole dure, che effettivamente non fanno che affermare ciò che il giornalista ha voluto sottolineare impavidamente e che ora è bersagliato per questo.

Alla marcia a Parigi c'era anche Poroshenko, ma tutti hanno dimenticato la strage di Odessa del 2 Maggio 2014? Perché non hanno marciato anche per essa?

Dove crede di andare l'Occidente con questo atteggiamento da due pesi e due misure? Quale credibilità possono avere i suoi dirigenti se avallano simili ipocrisie? La giustizia non è uguale per tutti gli uomini?

Non si può essere non essere solidali con Tim Willcox, bisogna avere il coraggio di esprimersi per la verità e coloro che ipocritamente chiedono le sue dimissioni dovrebbero farsi un esame di coscienza.

Fonti:

dailymail.co.uk

askanews.it

Video: You Tube









lunedì 12 gennaio 2015

L'Occidente e l'Islam devono guardarsi allo specchio


I drammatici eventi di Parigi hanno indotto il mondo a riflettere, non solo la Francia “vittima” di quest'ultima barbarie. Il mondo, ma soprattutto l'Occidente e l'Islam, devono interrogarsi per capire in che direzione stanno andando.

Ora è possibile fare un'analisi più sobria degli eventi, perché farlo durante di essi può inficiare l'obiettività dell'analisi, l'emozione potrebbe prendere il sopravvento, di fatti in Europa si assiste ad una recrudescenza di un fenomeno che distorce la storia, come quella delle Crociate. Esse furono fatte in altri contesti storici e per motivi molto diversi da quelli che animano adesso la reazione di molti europei .

L'Occidente si è sentito attaccato al cuore e ciò è vero, ma questo “cuore” in cosa consiste? Nella Cristianità medioevale che armi in pugno decise di proteggersi effettivamente dalle aggressioni islamiche? Nessuno che non sia deformato nel pensiero potrebbe pensare ciò, di fatti tutti i capi di stato d'Europa parlano coerentemente di attacco alla “libertà” (di stampa in questo caso).

Un concetto che ha condotto la rivista Charlie Hebdo a fare vignette che con la satira hanno ben poco a che fare, non vi è sarcasmo né caricatura alcuna nell'offesa sacrilega nei confronti di religioni professate da miliardi di persone, toccate in ciò che hanno di più caro, non è possibile dimenticare le vignette oscene nei confronti della Santissima Trinità e la Sacra Famiglia, ma neanche quelle nei confronti di Maometto.

A cosa serve una simile “satira”? Davvero tutti possiamo definirci con la frase “je suis Charlie Hebdo”? Oppure il buon senso dovrebbe farci riflettere?

La seconda riflessione è quella da seguire, perché condannare la bestiale uccisione di uomini disarmati non obbliga a difendere a spada tratta ciò che hanno fatto essi. Il fondamentalismo “islamico” si sta contrapponendo ad un altro fondamentalismo, quello di natura “giacobina”, che impugna il concetto di “libertà” per elevare l'uomo al di sopra di essa, in cui egli è libero di fare tutto e di dire tutto, tranne ostacolare questo stesso principio, permettendosi di dissacrare ciò che gli è effettivamente superiore, a prescindere dalle varie interpretazioni religiose.

Non si intende discutere in questa sede la natura dell'attacco terroristico, viste le ipotesi che circolano e le effettive ombre che aleggiano su di esso, occorre però ribadire che lo stesso Occidente alimenta e fomenta il terrorismo islamico in Siria, Iraq e Africa e lo stesso presidente siriano Bashar Al Assad ha messo in guardia il vecchio continente dicendo già nel Giugno 2013 che “se gli europei consegnano armi, il cortile dell'Europa si trasformerà in un terreno propizio al terrorismo e l'Europa ne pagherà il prezzo” (1).

Non si possono chiamare “ribelli” quelli che combattono in Siria e terroristi quelli che commettono certe abiette azioni in Europa, perché si tratta delle medesime persone e/o degli stessi propositi. Oggi più che mai ne abbiamo avuto dimostrazione concreta. E' opportuno sottolineare una certa ipocrisia della classe dirigente europea, che ci chiama alla coesione quando si sente minacciata nei suoi “valori” fondanti, mentre sorvola malamente su altre tragedie e uccisioni efferate, come ad esempio quelle di Odessa del 2 Maggio 2014.

Al di là delle effettive colpe occidentali, non si può nemmeno sorvolare sul fatto che negli ambienti islamici il fondamentalismo trovi terreno fertile, visto che il generale egiziano Abdel Fattah Al-Sisi, parlando dinanzi ai vertici religiosi dell’Università al-Azhar al Cairo, si è chiesto se sia possibile che “la religione islamica venga percepita come fonte di ansia, pericolo, morte e distruzione da parte del resto del mondo” e “che la sicurezza possa essere raggiunta solo eliminando gli altri sette miliardi di abitanti del mondo” (2).

Una coraggiosa analisi quella di Al-Sisi, che purtroppo non è stata adeguatamente riportata dai mezzi di comunicazione di massa, è doveroso inoltre ricordare le proteste delle cancellerie di mezze mondo contro Benedetto XVI, quando il 12 Settembre 2006 tenne un discorso storico all'università di Ratisbona su Fede e Ragione, in cui si chiari' molto sull'Islam, con ovvie e veementi proteste anche tra i musulmani.

Bashar Al Assad ed Al-Sisi ci offrono spunti interessanti, che inducono l'Occidente e l'Islam a fare “mea culpa”, pur riconoscendo all'interno di essi nuclei sani con cui è possibile coesistere, ricordiamo ad esempio Hezbollah che accolse Benedetto XVI in Medio Oriente e che oggi condanna senza mezze misure gli attentati in Francia (3), mentre una cospicua parte di europei, pur esprimendo solidarietà alle vittime, non se la sentono di dire “je suis Charlie”, comprendendo che in Occidente ci sono mali che alimentano l'avversione da parte dei musulmani.

Su questo punto possiamo riprendere sempre  Benedetto XVI, con il discorso pronunciato il 10 Settembre 2006 nell'omelia per la Santa Messa a Monaco di Baviera:

“Le popolazioni dell'Africa e dell'Asia ammirano, sì, le prestazioni tecniche dell’Occidente e la nostra scienza, ma si spaventano di fronte ad un tipo di ragione che esclude totalmente Dio dalla visione dell'uomo, ritenendo questa la forma più sublime della ragione, da insegnare anche alle loro culture. La vera minaccia per la loro identità non la vedono nella fede cristiana, ma invece nel disprezzo di Dio e nel cinismo che considera il dileggio del sacro un diritto della libertà ed eleva l'utilità a supremo criterio per i futuri successi della ricerca. Cari amici, questo cinismo non è il tipo di tolleranza e di apertura culturale che i popoli aspettano e che tutti noi desideriamo! La tolleranza di cui abbiamo urgente bisogno comprende il timor di Dio – il rispetto di ciò che per l’altro è cosa sacra.” (4).

Un riassunto davvero eloquente per aiutare a comprendere le motivazioni delle frizioni tra l'Occidente e l' Islam, in cui il primo, oltre a perseguire politiche estere errate, si lascia andare ad aberrazioni incredibili in nome di un concetto distorto di libertà, da un lato si opera in tutti i modi per non “offendere” gli islamici, togliendo i Crocifissi dai luoghi pubblici ad esempio, mentre dall'altro si consentono le pubblicazioni blasfeme su Maometto.

Come non ricordare poi i clamorosi arresti alla “Manif pour tous”, manifestazione in difesa della famiglia tradizionale? La libertà vale solo per alcuni?

Un comportamento “schizofrenico” che si è impadronito dell'Occidente, che nuoce in tutto e per tutto alla stabilità di quello che un tempo fu il faro della civiltà per il mondo.

Riferimenti:

1) Siria, Assad: "L'Europa pagherà per armi ai ribelli"

2) Al-Sisi, scossa ad Al-Azhar

3) Hezbollah condanna gli attentatori parigini

4) vatican.va

Immagine di copertina: sconfinare.net

Foto in alto: telegraph.co.uk

Foto al centro: time.com

Foto in basso: tempi.it

lunedì 5 gennaio 2015

La Russia tende ancora la mano alla UE

Proprio cosi', la Russia, nonostante l'inaudito comportamento dei vertici politici della UE, continua a tendere la mano a Bruxelles e di riflesso ai singoli stati membri dell'Unione Europea.

Lo fa attraverso Vladimir Chizhov, ambasciatore russo presso la UE, il quale ha dichiarato:

"La nostra idea è quella di avviare contatti ufficiali tra l'UE e l'Unione Eurasiatica il più presto possibile. La cancelliera Angela Merkel ha parlato di questo non molto tempo fa. Le sanzioni dell'Unione Europea alla Russia non sono un ostacolo. Penso che il buon senso ci consiglia di vagliare la possibilità di creare uno spazio economico comune della regione eurasiatica, compresi i paesi principali del partenariato orientale. Potremmo pensare a una zona di libero scambio che comprende tutte le parti interessate in Eurasia".

Egli ha anche affermato che l'Unione Eurasiatica rappresenta un partner decisamente migliore per l'Unione Europea rispetto agli Stati Uniti, mentre ha minimizzato anche gli attriti con la Bielorussia e il Kazakhstan.

La Bielorussia in particolare, che tende per adesso a non esporsi troppo nelle frizioni russo-occidentali, "rimane un partner di fiducia, con i quali condividiamo un patrimonio comune storico, culturale e linguistico, un vivace commercio e vivaci relazioni economiche, nonché molti altri legami”.

L'attuale debolezza del rublo, il prezzo del petrolio caduto a livelli impensabili per Mosca, non danneggeranno il progetto eurasiatico, secondo il diplomatico.

Non poteva mancare ovviamente una reazione dall'altra parte della barricata, ovvero quella  USA, palesata attraverso Steven Pifer, ex ambasciatore americano in Ucraina ed esperto della Brookings Institution, organizzazione no-profit per la promozione delle relazioni internazionali e la democrazia (1). Egli addita la nuova realtà economica eurasiatica come tentacolo per controllare i paesi vicini a Mosca, in parole povere una riedizione dell'Unione Sovietica, simile però all'attuale Unione Europea. Prende spunto dalla Lituania, per placare le preoccupazioni di certuni evidentemente, sottolineando la scelta di quest'ultima di aderire all'Euro, andando in direzione opposta a quella auspicata dalla Russia.

Non ci si può aspettare di certo la condivisione della proposta russa da parte americana, interessata a far recidere (o quantomeno a far raffreddare) i rapporti tra Bruxelles e Mosca.

La speranza ancora non si è affievolita per vedere di nuovo una vera pace tra Europa e Russia, la possibile e fruttuosa collaborazione politica ed economica, il tutto rappresentante la naturale tendenza nel vecchio continente, ovvero l'integrazione con la Russia, agognata da secoli.

Un'utopia sembra per adesso, ma la consapevolezza che essa sarà il compimento del comune destino per gli europei occidentali ed i russi non potrà essere di certo soppressa a causa di incidenti di percorso.

Fonti:

Euobserver

Boston NPR

Riferimenti:

1) About Brookings

Immagine in alto: gettyimages.com

Foto al centro: russianmission.eu

Foto in basso: brookings.edu

venerdì 2 gennaio 2015

Segnali di disgelo al 38° parallelo

Confine tra le due Coree presso Panmunjom

Dalla tormentata penisola coreana sembrano venire segnali incoraggianti, di questi tempi ce ne vogliono, vista la situazione in altre parti del mondo, Ucraina in testa.

Il primo ministro Chung Hong-won nel messaggio di Capodanno ha affermato che il governo si sforzerà per risolvere il rapporto conflittuale tra le due Coree ed apre uno spiraglio per il dialogo:


“Quest'anno si deve stabilire una pace duratura nella penisola coreana e bisogna fare un passo avanti verso l'unificazione".

Affermazioni importanti, che arrivano postume a quelle fatte dalla guida politica nordcoreana Kim Jong Un, che evidentemente non si è fatto distrarre troppo dalle vicende del film satirico USA “The Interview”. Egli ha sostenuto nel messaggio di fine anno che non vi sono motivi per cui non collaborare al dialogo con Seul:

“Occorre stabilire una clima favorevole per migliorare le relazioni tra il nord e il sud...E' straziante vedere la nostra nazione divisa a causa di forze straniere ed è più intollerabile vedere gettare fango e ostilità verso l'altro...E 'giunto il momento di porre fine a ciò che porta nulla di buono per entrambe le parti che dovrebbero astenersi dal fare qualsiasi cosa dannosa per l'unità nazionale e la riconciliazione...Le autorità sudcoreane devono interrompere il confronto spericolato con i loro compatrioti del nord e scegliere di promuovere le relazioni inter-coreane, in risposta alla chiamata della nazione per l'indipendenza, la democrazia e la riunificazione nazionale. Daremo la mano a chiunque sceglie di dare la priorità alla nazione e si augura la sua riunificazione, a prescindere dal suo passato, continuando a lottare per migliorare le relazioni inter-coreane”.

Dai vertici delle due Coree si sta palesando una volontà di riavvicinamento che prelude addirittura ad una possibile ed agognata riunificazione, ma purtroppo non sono solo due le parti in causa, visto che la Corea del Sud è vincolata da un'alleanza pesante con gli USA, bisognosi di un clima teso per poter mantenere l'egemonia nella regione in funzione anticinese.


Il percorso è ancora lungo e fin quando la Corea del Sud non riacquisterà una piena sovranità il sogno di una Corea unita resterà tale, ma già in passato sono arrivati segnali incoraggianti da Seul, ostile all'applicazione di sanzioni alla Russia imposte dagli USA (1).


Foto  centrale: elsegmento.com

Foto in basso : borgenmagazine.com