Immagine tratta dal sito alleanza-monarchica.com |
Il 3 Novembre 1918 alle ore 15:20, presso Villa Giusti (Padova), l'Impero Austro-Ungarico e il Regno d'Italia firmarono l'armistizio, che in realtà fu la capitolazione degli austro-ungarici. I combattimenti cessarono alle 16 dell'indomani, 4 Novembre, giorno in cui fu ufficialmente diramato il bollettino della vittoria.
Il Regno d'Italia vinse la Prima Guerra Mondiale sul campo, versando il sangue di 650000 soldati, sangue del Nord e del Sud, anche se è bene ricordare che ci furono italiani che combatterono per l'Impero (1).
L'Italia è un Paese tormentato alla perenne ricerca di una coscienza unitaria, appeso ad un croce i cui assi sono rappresentati da quello del settentrione e meridione, forgiato da una perenne “questione meridionale”, e da quello dei filofascisti e antifascisti, generato dall'infausto esito della Seconda Guerra Mondiale. Paese di campanili in cui ogni occasione è buona per dividersi. Se è comprensibile la frattura a seguito di una sconfitta, sicuramente discutibile per come è stata gestita, non lo è altrettanto l'apatia e il distacco con cui si guarda a quella vittoria che davvero cementò l'unità della nazione di fronte l'avversario, più volte sul punto di vincerci inesorabilmente.
Dopo l'immane disfatta di Caporetto, la più cocente sconfitta della nostra storia militare, il nostro esercito si ritirò fino al Piave. “Tutti eroi! O il Piave o tutti accoppati! Meglio vivere un giorno da leone che cento anni da pecora! (2)...Il Piave mormorò: non passa lo straniero!” (3). Frasi indelebili che ogni italiano, ogni studente, dovrebbe custodire nella sua memoria, invece di fare il patriota solo ai campionati del mondo di calcio. Il Piave, fiume sacro della patria, divenne baluardo inespugnabile anche per il fortissimo e bene armato esercito imperiale. Quel fiume fece mutare lo spiritò degli italiani, risollevati nel morale anche dall'avvicendamento alla guida dell'esercito dopo lo sbaraglio. Da quel corso d'acqua del nord-est iniziò la formidabile rivincita italiana culminata con la vittoria di Vittorio Veneto (TV). Un generale napoletano, Armando Diaz, nato proprio l'anno dell'unità d'Italia (1861), ci condusse alla vittoria alla testa di un esercito inferiore per numeri e mezzi, contro uno degli eserciti più poderosi del mondo.
Gli italiani, spesso tacciati come imbelli, dimostrarono al mondo il loro valore nella Grande Guerra. Una vittoria che divenne in seguito “mutilata”, come asseri' il vate Gabriele D'Annunzio. Egli con l'impresa di Fiume vendicò quell'affronto subito a causa di intrighi geopolitici che non tennero conto della reale portata di essa e del colossale sforzo italiano, per non parlare delle promesse certificate nel Patto di Londra non mantenute. Come sempre noi italiani veniamo bistrattati e dobbiamo agire unilateralmente per poter ottenere i giusti riconoscimenti. Una lezione che probabilmente dobbiamo ricordare anche oggi, in cui il nostro Paese subisce diktat in vari ambiti da parte di potenze e poteri stranieri.
Non è giustificabile la tesi secondo cui la sconfitta nella guerra successiva ha eclissato la vittoria in quella precedente.
Il 4 Novembre fu festivo dal 1919 al 1976, in seguito divenne un giorno feriale e lo è ancora oggi, uno smacco al sentimento nazionale. Ci si limita a celebrazioni striminzite in un giorno in cui, oltre alla vittoria, si celebrano anche l'unità della nazione e delle forze armate. Un affronto per tutti i caduti, per la patria e per l'esercito.
Un Paese che non è nemmeno unito quando si vince non ha futuro, la vittoria va celebrata degnamente per far riscoprire l'orgoglio nazionale al popolo, stremato dal circo politico, dalle centrifughe regionaliste e dal mondialismo che osteggia il patriottismo per conseguire interessi apolidi. Esso va unito nel rendere omaggio ai caduti per la patria.
Riferimenti;
1) La storia dimenticata del 97° reggimento
Riferimenti;
1) La storia dimenticata del 97° reggimento