La locandina ufficiale del film
Non si pretende di sintetizzare in poche righe un fenomeno complesso come la guerra civile in Italia, ma quantomeno di dare un piccolissimo sguardo su essa prendendo spunto da alcuni eventi.
Codevigo è un comune di quasi 7000 anime in provincia di Padova, in Veneto. Un piccolo centro sconosciuto alla quasi totalità degli italiani, non essendo una città, eppure è arrivato sotto i riflettori per merito del film di Antonello Belluco. La storia ha fatto capolino a Codevigo, non solo per la sua genesi ed esistenza, ma anche perché fu teatro di uno dei fatti più tragici verificatisi sul finire della Seconda Guerra Mondiale, conosciuto come eccidio di Codevigo, in cui furono assassinate 136 persone (1), ma ci sono cifre contrastanti in merito. Di eccidi la storia purtroppo è piena e sicuramente ve ne sono stati di ben più gravi, ma questo in particolare suscita interesse perché tra i più recenti in Italia, nel contesto della guerra civile, di fatti tra le vittime ci furono molti membri della Guardia Nazionale Repubblicana, la “polizia” della Repubblica Sociale Italiana, delle Brigate Nere e civili. Non solo membri dell’apparato statale fascista, ma anche coloro che venivano sospettati di simpatie e legami con esso, il tutto con processi sommari ed illegittimi. Tale crimine, perpetrato tra la fine di Aprile e il Maggio del 1945 (c’è chi dice anche Giugno) si verificò a guerra praticamente conclusa (le forze tedesche e repubblicane in Italia si arresero ufficialmente il 3 Maggio 1945). I responsabili di tale atto furono i membri della 28a Brigata Garibaldi “Mario Gordini”, formata da partigiani e comandata dal comunista Arrigo Boldrini, detto “Bulow”, e il gruppo di combattimento “Cremona”, facente parte dell’esercito regio italiano cobelligerante a fianco degli Alleati, tutti inquadrati alle dipendenze dell’Ottava Armata Britannica. Accusati di indicibili torture e sevizie, oltre che di omicidio, tra le quali spiccano quelle su Mario Bubola, figlio del podestà fascista di Codevigo, a cui “cominciano a segargli il collo con del filo spinato, finché la vittima non sviene. Allora provvedono a farlo rinvenire, gettandogli in faccia secchi di acqua fredda. Ma il Martire non cede e grida ancora la sua fede in faccia ai carnefici. Allora provvedono a tagliarli la lingua che gli viene infilata nel taschino della giacca. Quindi, quando la vittima ormai agonizza, gli recidono i testicoli e glieli mettono in bocca” (2). L’accusa? Essere figlio di un fascista, nessun crimine concreto attribuibile al ragazzo. Altro episodio raccapricciante è quello su Corinna Doardo, maestra di scuola, “una fascista, però non fanatica, piuttosto un'ingenua. Figuratevi che il 21 aprile 1945 aveva voluto celebrare per l'ultima volta il Natale di Roma, con tutto quello che stava succedendo, il fronte a un passo da Codevigo, gli inglesi e i partigiani che erano lì per arrivare. Un suo fratello, che abitava a Piove di Sacco, le aveva detto: 'Corinna, vai via da Codevigo'. Ma lei si era rifiutata di andarsene: 'Non ho mai fatto nulla di male e resterò qui'." "Quando ci fu la liberazione", ricordò la donna, "gliela fecero pagare. Andarono a prenderla a casa, la portarono dentro il municipio e la raparono a zero. La punizione sembrava finita lì e invece il peggio doveva ancora venire. Le misero dei fiori in mano e una coroncina di fiori sulla testa ormai pelata e la costrinsero a camminare per la via centrale di Codevigo, fra un mare di gente che la scherniva e la insultava. Alla fine di questo tormento, la spinsero in un viottolo fra i campi. E la uccisero, qualcuno dice con una raffica di mitra, altri pestandola a morte sulla testa con i calci dei fucili" (3). Fu uccisa il 30 Aprile, come testimoniato dal parroco locale. Gli ultimi reparti tedeschi lasciarono Codevigo il 29 Aprile, mentre i partigiani arrivarono il 30 Aprile, con già al seguito alcuni prigionieri fascisti di zone vicine (romagnole in primis), con l’intento di operare rastrellamenti per catturare i “repubblichini” rimasti. Una volta individuati venivano assassinati e i corpi venivano seppelliti in fosse comuni o gettati in corsi d’acqua. “Lo stesso Arrigo Boldrini “Bulow” nei suoi diari (pubblicati nel dopoguerra) ha confermato le esecuzioni, sebbene ne abbia attribuito la responsabilità alla divisione Cremona, un reparto partigiano di stanza anch’esso nella zona di Codevigo, o al caos delle notti. Il 6 maggio ’45 Bulow ha scritto: «Ci giunge notizia che “Cremonini” (della divisione Cremona) e altri partigiani, sollecitati dai rispettivi comandi, danno caccia a fascisti e presunti tali. È molto difficile intervenire a causa dell’asprezza criminale della condotta nazifascista durante il conflitto», e il 10 maggio ha descritto «gruppi autonomi ed incontrollati che agiscono di notte senza rendere conto dell’operato. Occorre ricordare che gli animi sono esasperati; molti partigiani hanno avuto le famiglie massacrate dalle forze nazifasciste». Va specificato che le esecuzioni di Codevigo furono sommarie e ai danni di persone che non erano stati responsabili dei massacri nazifascisti” (4). Tra le vittime quindi sembra non esserci alcun personaggio che si sia distinto nei massacri “nazifascisti” o presunti tali, molti erano braccianti agricoli e operai che avevano aderito alla R.S.I. Si trattò di una vendetta politica e/o personale, servita anche con decenni di ritardo. Nessuno ha pagato per quel crimine e “i comandi della 28a e del "Cremona" non furono mai soggetti a procedimenti penali poiché i fatti si svolsero al di fuori e contro gli ordini da loro emanati e a loro insaputa” (5). Tesi alquanto controversa e discutibile. Una certa storiografia, immarcescibilmente faziosa, tende a giustificare tali atti esecrabili tirando in ballo le violenze fasciste effettivamente accadute o presunte, persino quelle durante il cosiddetto “Biennio Rosso” (1919-1920), periodo in cui la nazione italiana stava per collassare a causa di spinte rivoluzionarie di stampo anarco-comunista, paralizzata da migliaia di scioperi e sommosse armate. Non mancarono episodi raccapriccianti anche in quel periodo, dove si moriva se si gridava “Viva l’Italia”, come capitò allo scout Pierino Del Piano per mano di filobolscevichi (6), che fascista non lo era affatto. Sempre durante il Biennio Rosso, “il caso del fascista Guido Pallotti, accoltellato in pieno centro a Teramo nel 1920 durante una rissa politica, fu ancora più eclatante: gli imputati vennero assolti nel Dicembre 1923 per l’impossibilità di identificare il vero esecutore. Appare singolare come ferocia, quella di una dittatura che non solo non vendica i suoi martiri uccisi dal nemico prima della presa del potere, ma che li giudica senza forzature giuridiche…mentre dal regime mussoliniano si poteva fuggire: In URSS giunsero circa 650 rifugiati politici tra il 1924 e il 1936” (7).
Non si vuole certamente equiparare un contesto di pace con uno bellico, nella Repubblica di Salò la repressione fu dura e non esente da efferatezze, ma anche gli stati democratici e ipergarantisti odierni in casi eccezionali e/o di guerra ricorrerebbero alla legge marziale per mantenere l’ordine. I partigiani e gli Alleati, già consci della vittoria imminente o appena conseguita, non dovevano macchiarsi con simili barbarie.
In Italia quasi tutta la popolazione, salvo pochissime e coerenti eccezioni, fu collusa col Fascismo, il quale aveva un consenso, mantenuto con metodi poco ortodossi, ma ben lontano dal terrore hitleriano o staliniano, visto che “ci vollero otto anni prima che a Mussolini l’ultimo professore prestasse giuramento; a Hitler bastarono otto settimane” (8).
Non fu sempre antifascista Arrigo Boldrini, corresponsabile morale dell’eccidio di Codevigo, che militò come “capomanipolo” nelle milizie fasciste negli anni precedenti alla guerra, cosa fatta passare in secondo piano. Dov’era “Bulow” prima dello scoppio della guerra? Come mai non fu incarcerato o esiliato durante il regime? Aderi’ al Partito Comunista solo nel 1943. La sua giovane età (nacque nel 1915) non giustifica del tutto ciò, visto che la storia è piena di giovanissimi eroi morti per i propri ideali, Bobby Sands mori’ in carcere a soli 27 anni.
Piaccia o no, molti dei partigiani e degli antifascisti, saltati fuori dopo la caduta di Mussolini, furono dei rinnegatori saliti sul carro dei vincitori. “Secondo Renzo De Felice, a fine guerra i partigiani censiti erano un po’ più di trentamila, mettendo in conto anche gli opportunisti dell’ultima ora, arruolatisi a risultato certo con la prospettiva di lavoro, pensioni e onorificenze…gli aderenti alla Repubblica Sociale Italiana, con la certezza di andare incontro alla sconfitta, erano stati oltre ottocentomila di cui buona metà volontari” (9).
Si può, nonostante ciò, riconoscere ad alcune formazioni partigiane un certo valore e coraggio, spesso vittime loro malgrado di rappresaglie da parte di partigiani iper-politicizzati (perlopiù comunisti). Emblematica fu la strage di Porzus, dove furono massacrati i vertici della Brigata Osoppo, sospettata di collaborare con la Xa MAS e formazioni parafasciste in funzione anticomunista e antislava, di fatti cosi’ si espresse Aldo Moretti, uno dei fondatori della Osoppo:
“La Grande Slovenia, volevano i partigiani comunisti. Noi volevamo solo combattere per la libertà, non per il comunismo, ed eravamo favorevoli a lasciare ad un referendum dopo la liberazione la scelta sui confini… Bolla, il comandante, alzava la bandiera, bandiera italiana, bandiera con lo stemma sabaudo. Io lo mettevo in guardia: attento, gli dicevo, la vedono i comunisti e i partigiani sloveni, quello stemma a loro ricorda il fascismo, toglila” (10).
Orrenda fu l’esecuzione del giovanissimo Rolando Rivi (14 anni), seminarista, invitato più volte dai genitori a non girare in abito talare per paura di ritorsioni comuniste, a cui fu lasciato un biglietto con la seguente dicitura: "Non cercatelo. Viene un attimo con noi partigiani”. “Rolando era tornato al paese. Un giorno - 10 aprile 1945 -, dopo aver suonato e cantato alla santa Messa, prese i libri come al solito e si recò a studiare nel boschetto vicino. Fu catturato e rinchiuso in una stalla. Il ragazzo fu spogliato, insultato e seviziato con percosse e cinghiate per ottenere l’ammissione di una improbabile attività spionistica. Ma Rolando – fu accertato al processo penale di qualche anno dopo – non poteva confessare niente, perché le accuse erano totalmente false. Dopo tre giorni di sequestro, con una procedura arbitraria e a insaputa dei capi, il 13 aprile 1945, il ragazzo fu prima barbaramente mutilato e poi assassinato con due colpi di pistola, uno alla tempia sinistra e l’altro al cuore” (11).
Dimenticanze da parte di chi vive con frustrazione la non riuscita della “rivoluzione proletaria” in Italia, ostile a qualunque tipo di “riconciliazione nazionale” e di accettazione della propria storia. L’elenco sarebbe molto lungo e ci vorrebbero libri interi per elencare le terribili vicende della guerra civile, in cui sono invischiati entrambi gli schieramenti, ma l’ottusità ipocrita da parte di un certo schieramento politico ed ideologico non è più sopportabile, arrivando persino a boicottare un film che tratta un evento realmente accaduto. Il volere occultare o ridimensionare i propri “scheletri nell’armadio” risulta penoso e irritante per chi esige dalla storia la verità. Riferimenti: 1) L'ultima verità sulla strage di Codevigo
7) Pietro Ferrari, Fascismi: analisi, storie, visioni, 2014 edizioni
Radio Spada, pag. 13-14
8) Emil Ludwig, Tre ritratti di dittatori: Hitler, Mussolini, Stalin, 2013
Gingko edizioni, pag. 101.
9) Pietro Ferrari, Fascismi: analisi, storie, visioni, 2014 edizioni Radio Spada, pag. 57
10) Strage di Purzus, un'ombra cupa sulla resistenza |
Translate
mercoledì 18 marzo 2015
Il contesto storico del film “Il segreto di Italia” e l’eccidio di Codevigo
Iscriviti a:
Post (Atom)