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mercoledì 4 novembre 2015

Il 4 Novembre, una vittoria per unire

Immagine tratta dal sito alleanza-monarchica.com


Il 3 Novembre 1918 alle ore 15:20, presso Villa Giusti (Padova), l'Impero Austro-Ungarico e il Regno d'Italia firmarono l'armistizio, che in realtà fu la capitolazione degli austro-ungarici. I combattimenti cessarono alle 16 dell'indomani, 4 Novembre, giorno in cui fu ufficialmente diramato il bollettino della vittoria. 

Il Regno d'Italia vinse la Prima Guerra Mondiale sul campo, versando il sangue di 650000 soldati, sangue del Nord e del Sud, anche se è bene ricordare che ci furono italiani che combatterono per l'Impero (1).

L'Italia è un Paese tormentato alla perenne ricerca di una coscienza unitaria, appeso ad un croce i cui assi sono rappresentati da quello del settentrione e meridione, forgiato da una perenne “questione meridionale”, e da quello dei filofascisti e antifascisti, generato dall'infausto esito della Seconda Guerra Mondiale. Paese di campanili in cui ogni occasione è buona per dividersi. Se è comprensibile la frattura a seguito di una sconfitta, sicuramente discutibile per come è stata gestita, non lo è altrettanto l'apatia e il distacco con cui si guarda a quella vittoria che davvero cementò l'unità della nazione di fronte l'avversario, più volte sul punto di vincerci inesorabilmente.
Dopo l'immane disfatta di Caporetto, la più cocente sconfitta della nostra storia militare, il nostro esercito si ritirò fino al Piave. “Tutti eroi! O il Piave o tutti accoppati!  Meglio vivere un giorno da leone che cento anni da pecora! (2)...Il Piave mormorò: non passa lo straniero!” (3). Frasi indelebili che ogni italiano, ogni studente, dovrebbe custodire nella sua memoria, invece di fare il patriota solo ai campionati del mondo di calcio. Il Piave, fiume sacro della patria, divenne baluardo inespugnabile anche per il fortissimo e bene armato esercito imperiale. Quel fiume fece mutare lo spiritò degli italiani, risollevati nel morale anche dall'avvicendamento alla guida dell'esercito dopo lo sbaraglio. Da quel corso d'acqua del nord-est iniziò la formidabile rivincita italiana culminata con la vittoria di Vittorio Veneto (TV). Un generale napoletano, Armando Diaz, nato proprio l'anno dell'unità d'Italia (1861), ci condusse alla vittoria alla testa di un esercito inferiore per numeri e mezzi, contro uno degli eserciti più poderosi del mondo. 

Gli italiani, spesso tacciati come imbelli, dimostrarono al mondo il loro valore nella Grande Guerra. Una vittoria che divenne in seguito “mutilata”, come asseri' il vate Gabriele D'Annunzio. Egli con l'impresa di Fiume vendicò quell'affronto subito a causa di intrighi geopolitici che non tennero conto della reale portata di essa e del colossale sforzo italiano, per non parlare delle promesse certificate nel Patto di Londra non mantenute. Come sempre noi italiani veniamo bistrattati e dobbiamo agire unilateralmente per poter ottenere i giusti riconoscimenti. Una lezione che probabilmente dobbiamo ricordare anche oggi, in cui il nostro Paese subisce diktat in vari ambiti da parte di potenze e poteri stranieri.

Non è giustificabile la tesi secondo cui la sconfitta nella guerra successiva ha eclissato la vittoria in quella precedente.

Il 4 Novembre fu festivo dal 1919 al 1976, in seguito divenne un giorno feriale e lo è ancora oggi, uno smacco al sentimento nazionale. Ci si limita a celebrazioni striminzite in un giorno in cui, oltre alla vittoria, si celebrano anche l'unità della nazione e delle forze armate. Un affronto per tutti i caduti, per la patria e per l'esercito. 

Un Paese che non è nemmeno unito quando si vince non ha futuro, la vittoria va celebrata degnamente per far riscoprire l'orgoglio nazionale al popolo, stremato dal circo politico, dalle centrifughe regionaliste e dal mondialismo che osteggia il patriottismo per conseguire interessi apolidi. Esso va unito nel rendere omaggio ai caduti per la patria.

Riferimenti;

1) La storia dimenticata del 97° reggimento 



martedì 29 settembre 2015

Il ritorno della superpotenza

Immagine: forum paradoxplaza

Ormai è palese, è tornato il dualismo che sembrava sepolto nel 1991 con la fine dell'URSS. Alla settantesima assemblea generale dell'ONU si è mostrato in maniera inequivocabile. Il Muro di Berlino, la Guerra Fredda sembravano superati oramai, eppure è nata una contrapposizione tra USA e Russia che ogni giorno che passa, tra tira e molla, è sempre più evidente.                                                                                                                       
Viviamo due modi di concepire la visione del mondo, seppure da parte russa lontana da quella che la contraddistingueva fino ad un quarto di secolo fa.

La Russia è tornata quella di un tempo, con animo diverso fortunatamente. Si contrappone in maniera plateale all'egemonia americana che perpetua stucchevolmente  un ruolo, quello di guida del mondo, in maniera illegittima  e dannosa. 

Putin, davanti al mondo, ha processato nei fatti le azioni di Obama e dei suoi alleati, le stesse che hanno condotto in grandissima parte al caos in M.O. e in Nord Africa, ma si potrebbe  tranquillamente aggiungere l'Ucraina, la cui rappresentanza ha puerilmente disertato durante il discorso del presidente russo. 

La Siria è diventata il pomo della discordia, anzi il suo presidente legittimo, Bashar Al Assad , lo è diventato. Putin ritiene necessario e giusto sostenerlo nella sua lotta all'ISIS e ha affermato che sarebbe un “errore enorme non collaborare con Damasco" , mentre Obama con  paraocchi e tappi alle orecchie esclama che "Assad è un tiranno, ha ucciso donne e bambini" e deve andarsene.   Paladino dei “doppi standard”, non dice mai nulla contro la dinastia wahabita dei Sa'ud che destabilizza il M.O e supporta i terroristi islamisti che massacrano i siriani ( e non solo) di ogni fede, L'Arabia Saudita ha violato la sovranità altrui arbitrariamente e impunemente (Yemen), per non parlare di Israele, amico intoccabile. Anche la Turchia, membro della NATO, andrebbe redarguita  a dovere per il suo ambiguo atteggiamento con l'ISIS.

Ad Obama però bisogna dare atto di aver riconosciuto, seppur parzialmente, gli errori in Libia: "La coalizione internazionale avrebbe dovuto fare di più per colmare il vuoto di potere lasciato dalla scomparsa di Muammar Gheddafi”  e di cominciare a capire che "gli Stati Uniti non possono risolvere il problema da soli", purtroppo c'è da dire che , coerentemente con quanto espresso, trascinano gli alleati in nefaste campagne di esportazione della democrazia.



Putin ha rotto gli indugi e già sostiene in maniera concreta e pubblicamente il governo siriano e il suo esercito contro i “ribelli", riconoscendo che tra essi non vi sono “moderati” e che  è "irresponsabile armare terroristi". La lezione irachena e libica è stata recepita.

La discesa in campo della Russia ha fatto si che anche la Cina, sorniona grande potenza economica, ma non ancora politica, si stia muovendo, addirittura con sue unità navali (in un primo tempo qualcuno aveva parlato della portaerei Liaoning, notizia mai confermata nella realtà)  verso il Mediterraneo secondo alcune fonti (1). Una mossa che sul piano militare non sconvolgerebbe più di tanto gli equilibri, ma di sicuro sul piano politico introdurrebbe l'ingerenza cinese a supporto della Russia e dell'Iran. E' risaputo che tra gli islamisti in M.O. vi sono miliziani che provengono dall'ex-URSS, ma anche  dalle remote regioni musulmane della Cina. L'urgenza di disinnescare la polveriera mediorientale è una priorità, prima che il cancro islamista infetti irreparabilmente altre parti dell'Eurasia.

I ruoli ai giorni nostri dimostrano che è la Russia la reale antagonista politica dell'unilateralismo USA e che essa guida e tesse la trame multipolari per contenere ed arrestare le logiche unipolari occidentali. Il confronto principale è nella direttrice Mosca-Washington, mentre Pechino osserva attentamente le  mosse dell'alleato e ne supporta la causa quando ritiene conveniente farlo. 

Obama afferma di non voler tornare alla Guerra Fredda, ma probabilmente è conscio di essere ripiombato in essa, nonostante si parli di positivi colloqui con Putin.

La crisi siriana e la lotta all'ISIS stanno dando un'opportunità unica alla Russia, quella di essere protagonista nella coalizione internazionale per disintegrare l'entità islamista, mettendo alle strette chi fino adesso ha fatto finta di combatterla davvero. Un ruolo che può spettare solo ad una superpotenza, non solo militare (anche se ancora il divario con gli Stati Uniti è importante), ma soprattutto politica, che propone al mondo una visione di esso chiara, l'unica percorribile per conservare le sovranità nazionali.

Non passerà molto tempo prima di udire dai mezzi di comunicazione di massa nuovamente la parola superpotenza in riferimento alla Russia.


Riferimenti:

1) Rights Reporter

mercoledì 12 agosto 2015

In Russia esiste davvero un regime totalitario?

Foto: artnet.com
La Russia è descritta come un regime totalitario, dove la censura la fa da padrona e dove i russi sono “vittime” della propaganda oscurantista del Cremlino, ma è davvero la realtà?

Il consenso di Putin è davvero dovuto alla censura, come sostengono certuni?

Paolo Valentino, giornalista del Corriere della Sera e di sicuro non "filorusso", ha affermato in merito:

Paolo Valentino, rainews.it
"Non c'è dubbio che esista un controllo forte da parte del Cremlino sui media in Russia, ed esiste soprattutto su quelli televisivi, che sono le fonti di informazione principale per la maggioranza dei russi, esiste anche una "narrativa" ufficiale del Cremlino. Bisogna dire anche un'altra cosa, si deve fare attenzione a parlare di un regime totalitario di controllo dell'informazione, perché in Russia ci sono 600 stazioni televisive, di cui solo 300 a Mosca, comprese quelle occidentali (CNN ecc..) , non "schermate", di cui solo 6 sono controllate dallo stato...è vero che la maggioranza dei russi si orienta su quelle statali, per una questione di abitudine. Altra cosa fondamentale è la differenza ad esempio con la Cina, dove sin dall'inizio dell'era di internet fu creato un "firewall", un filtro che scherma qualsiasi forma occidentale. In Russia non è mai stato fatto, l'accesso ad internet è sempre stato libero e lo è ancora oggi, quindi esiste una possibilità di accedere ad una informazione diversa da quella ufficiale , ma questo non impedisce a Putin di avere l'80% dei consensi. Quello che voglio dire io è che c'è qualcosa di molto più profondo del controllo dei mezzi di informazione dietro il successo di Putin...esistono poi testate indipendenti come la Novaja Gazeta che pubblica anche articoli critici sul governo, esiste anche il Moscow Times (in inglese) molto critico nei confronti di Putin. Attribuire il consenso di Putin ad un controllo di carattere totalitaristico non corrisponde al vero"

Un'autorevole testimonianza non di parte, in cui si smentisce la retorica demagogica diffusa in Occidente che descrive Putin come un tiranno totalitarista. 

Fonte:

“Conversazioni in Sicilia”, Castelmola (ME), 05-08-2015




giovedì 6 agosto 2015

Il tradimento dell'Europa e dell'Occidente verso la Russia

Immagine: limesonline.com



Lo scenario politico internazionale è stato il protagonista nell'ambito della rassegna culturale “Conversazioni in Sicilia”, svoltasi il 5 Luglio presso il castello di Castelmola, incantevole località siciliana nei pressi di Taormina , in provincia di Messina. Prendendo spunto da essa, si può fare un quadro della situazione della Russia e sul "nuovo corso" di Putin.

Ospite d'eccezione dell'evento è stato Paolo Valentino, originario del luogo, giornalista del Corriere della Sera, nonché corrispondente all'estero (a Washington, Mosca ecc..), noto per aver intervistato di persona Vladimir Putin (1) e Barack Obama. 

Il tema della conversazione con l'autorevole giornalista ha riguardato la Russia e ed il suo “nuovo corso” con Putin, che suscitano curiosità in chi si interessa di politica, con un ricco excursus storico sui temi più caldi, dall'Ucraina alla Crimea passando per la NATO, fino alla presunta censura dei giornali in Russia.

“Dobbiamo avere bene in mente che cosa è successo in dal 1991 ad oggi”, premessa indispensabile per comprendere la Russia odierna, superstite dell'URSS. Con la fine dell'Unione Sovietica ci si illuse con la “fine della storia” (chiaro riferimento a Francis Fukuyama) e si avviò una partnership con il Paese che non rappresentava più una minaccia per l'Occidente.

La Russia si spogliò di tutto, il Patto di Varsavia si dissolse e furono ritirate le truppe dall'Europa Orientale, si avviò l'apertura all'Occidente con una privatizzazione selvaggia, che impoveri' il Paese e creò una nuova classe di oligarchi supermiliardari attorno alla nuova classe dirigente (Eltsin). A Mosca, a fronte di tutto ciò ci si aspettava qualcosa in cambio, non solo aiuti economici, ma l'Occidente ( soprattutto gli Stati Uniti), non smise mai di considerare la Russia come avversario.

Valentino considera un profeta George Kennan, storico diplomatico statunitense (2), che nel 1998 poco prima di morire, disse che espandere la NATO verso Est sarebbe stato un tragico errore, non essendoci alcuna ragione per farlo, altrimenti la Russia avrebbe reagito di conseguenza. Kennan non fu ascoltato e successivamente la NATO si allargò fino alla frontiera russa e nel 2008 si tentò di includere in essa Georgia e Ucraina. Tutto ciò, dal punto di vista della Russia, viene interpretato giustamente come un “tradimento” e come ostilità.

Nel 2000, con l'elezione di Putin, iniziò un cambiamento. Il Paese si stava disintegrando, intere classi sociali erano abbandonate e i russi provavano un grande senso di umiliazione. Per chiunque abbia un minimo di orgoglio nazionale la restituzione della dignità alla nazione è un dovere e furono fatte diverse riforme per ridare vigore all'economia e coesione al popolo. Nel 2002, con il famoso vertice di Pratica di Mare (3), sembrava fosse stata messa fine all'ostilità occidentale latente verso la Russia, ma fu un'illusione visto che prosegui' l'allargamento della NATO ad est e da li' in poi la percezione russa dell'Occidente mutò. 

Il culmine di tutto questo adesso è palesato in Ucraina, che gli USA da tempo spingono per inglobarla nella NATO, si ricorda il summit del 2008 di Bucarest in cui “la NATO accoglie le aspirazioni euro-atlantiche dell'Ucraina e della Georgia di per l'adesione e concordato oggi che questi paesi diventeranno membri” (4), ma il tutto restò in stallo. Successivamente, dopo travagliate vicende elettorali, si è arrivati con un'elezione certificata dall'OSCE alla nomina a presidente di Yanucovich, che resta legittimo, a prescindere dalla poca trasparenza di quest'ultimo. L'Europa ha cominciato a negoziare un accordo di associazione con l'Ucraina, senza però tener conto del fatto che essa aveva dei precedenti accordi con la Russia e ciò ha innescato a Mosca un allarme, reagendo di conseguenza con un accordo alternativo. Nel 2013 Yanucovich ha rinviato la firma dell'accordo con la UE, per valutare la proposta russa, ma ciò ha comportato violente proteste di piazza (Maidan), con il coinvolgimento attivo degli occidentali e degli USA, testimoniato da intercettazioni telefoniche rese pubbliche (Victoria Nuland).

Il 21 Febbraio 2014 una delegazione UE ha stretto un accordo per mantenere Yanucovich come presidente di transizione fino a nuove elezioni , ma la piazza in tumulto ha rifiutato ed esautorato il presidente legittimo per insediare un governo gradito ai rivoltosi, subito riconosciuto dall'Occidente. Da ciò si evince la genesi della crisi Ucraina, con l'annessione della Crimea da parte di Mosca (contraria al diritto internazionale secondo il giornalista del Corriere) che è figlia di una preoccupazione legittima, vista la maggioranza russa presente nella penisola. La Crimea fu donata a Kiev da Kruschev nel 1954, ma è sempre stata russa e ricopre un ruolo strategico fondamentale e vanno tenute in conto le esigenze della Russia.

L'Ucraina per la Russia è più di una nazione sorella, è la sua culla, bisogna tener presente questo. Il primo atto del governo del dopo Maidan è stato quello di abolire dall'uso ufficiale la lingua russa (anch'esso contrario al diritto internazionale), seppur revocato questo dimostra un evidente retroterra russofobo di Maidan.

Gli USA impongono delle sanzioni con l'intento di far cambiare idea a Putin, ma non hanno ottenuto l'effetto sperato,anzi hanno radicalizzato il sentimento antioccidentale in Russia. Romano Prodi le ha definite un grande suicidio collettivo. Agli Stati Uniti non costano nulla, anzi hanno ampliato gli scambi con la Russia (5).

Paolo Valentino e Vladimr Putin, formiche.net
“I russi si sentono traditi dall'Europa e dall'Italia come ci si sente traditi da un amante”, frase dell'ambasciatore italiano a Mosca, riferita da Valentino a Putin in persona, che ha accolto con un sorriso, ma che descrive la realtà dei fatti. Il corrispondente del Corriere della Sera definisce come sciagurata l'assenza dei vertici europei e americani il 9 Maggio per la parata della vittoria nella Seconda Guerra Mondiale a Mosca, che rappresenta per lui il momento più basso delle relazioni tra Mosca e il Vecchio Continente. La Russia appartiene alla nostra civilizzazione comune ed essa guarda prima all'Europa che altrove, anche se non del tutto europea, avendo una dimensione euroasiatica.

L'Italia soffre spesso di un eccesso di timidezza e di sottomissione ai diktat americani, come ad esempio con la vicenda iraniana, che colpevolmente Berlusconi snobbò per non irritare israeliani e americani, cosa che oggi ci avrebbe visto in prima linea, adesso per fortuna il ministro Gentiloni  sembra voler recuperare definitamente il ruolo di protagonista dell'Italia (6).

Al di là di tutto questo sembra che qualcosa stia cambiando, a Sochi Putin e John Kerry (Segretario di Stato USA) hanno avuto 4 ore di colloquio, che ha avuto riscontro poi nella soluzione della questione iraniana, in cui il ruolo russo è stato decisivo e riconosciuto da Obama stesso. 

La dimostrazione che non si possa fare a meno della Russia per stabilizzare il mondo è lampante, l'auspicio è che si possa risolvere anche la questione ucraina.

Parlando di Russia non ci si poteva esimere dall'affrontare temi cari all'Occidente, come quello dei cosiddetti ”diritti civili” e della presunta repressione dei giornalisti. Valentino ha affermato che sicuramente c'è un forte controllo statale dei mezzi di comunicazione, ma ha ribadito che è fuorviante e irrealistico affermare che la Russia sia governata da un regime totalitario, visto che ci sono 600 stazioni televisive, di cui 300 tv disponibili a Mosca, comprese quelle occidentali (CNN, BBC ecc). Quelle controllate dallo stato sono solo 6, ma i russi tendenzialmente preferiscono seguire queste ultime. A differenza della Cina non esiste alcun filtro (firewall) su internet che schermi l'informazione occidentale, nonostante ciò Putin ha l'80% di consenso, non imputabile al presunto dominio dell'informazione. Non si è riusciti a dimostrare il coinvolgimento diretto del Cremlino sugli eventi nefasti capitati a giornalisti, anche se restano forti dubbi, secondo Valentino. 

Sui “diritti civili”, è difficile fare la ramanzina alla Russia se si tace con Paesi come l'Arabia Saudita.

Alla domanda sui rapporti tra USA e Russia ha risposto : “Io sono convito che c'è una parte precisa dell'establishment americano, che non è Obama, che ha sempre considerato non risolto il problema con la Russia e che vuole la sua messa in ginocchio definitiva ”

In conclusione, per noi Occidentali la scelta è chiara, o continuiamo a perpetrare un atteggiamento ostile e ad avere pregiudizi, oppure teniamo conto degli interessi strategici della Russia in maniera adeguata, comprendendo che l'Ucraina non può far parte della NATO, come sostenuto da Henry Kissinger nel suo ultimo libro “Ordine Mondiale”. La seconda opzione è quella da seguire.

domenica 2 agosto 2015

Filorussi si, ma sovrani in un mondo multipolare.

Flag map of the world


La caduta del Muro nel 1989 ha stravolto gli equilibri che per oltre 40 anni hanno inquadrato ideologie e schieramenti di nazioni, divisi tendenzialmente tra Primo Mondo (USA-Canada-Europa Occidentale-Giappone, Israele, Australia, Nuova Zelanda), Secondo Mondo (URSS, Europa-Orientale e altri Paesi ad economia pianificata socialista) e Terzo Mondo (Paesi non allineati socialisti/capitalisti o in sottosviluppo). 

La logica dei blocchi rispondeva alle esigenze di alleanze necessarie per reggere alle sfide di un mondo, seppur egemonizzato da due “superpotenze” (USA-URSS), che presentava il bisogno di aggregare nazioni e governi con visioni affini, per aumentare la loro sfera di influenza e per non finire fagocitati dall'avversario geopolitico. Non a caso entrambe la superpotenze facevano a gara per accaparrarsi accordi e alleanze in giro per il mondo, per il semplice motivo che da soli (in un mondo che tende a eliminare distanze ed a globalizzarsi) non si va da nessuna parte, neanche quando si ha a disposizione una forza smisurata. Il modello dei blocchi espressi nella Guerra Fredda era un modello che limitava (in alcuni casi azzerava) la sovranità delle nazioni incluse , tranne che per le nazioni guida (USA-Primo Mondo, URSS-Secondo Mondo, il Terzo Mondo presentava peculiarità che andrebbero approfondite a parte).

Il mondo odierno stimola la massima interdipendenza tra i Paesi che lo compongono, sia per motivi economici sia per motivi politici, ma non può essere tralasciato il lato culturale-religioso, d'altronde anche in precedenza alla Guerra Fredda non mancarono blocchi ed alleanze, la storia è piena di esempi.

Gli USA sono gli unici a mantenere il rango di superpotenza (conservando la sua egemonia sui Paesi satelliti occidentali) , promotrice dell'unipolarismo in ottica mondialista, ciò ha instillato il bisogno negli stati  non allineati il bisogno di coalizzarsi e fare quadrato, consci di non poter farcela da soli a resistere al rullo compressore anglo-americano. Se colossi come Russia, Cina ed India, forti di popolazioni numerose e territori immensi, hanno deciso di allearsi e di cooperare fattivamente, un motivo ci sarà. 

Per quanto concerne l'Europa risulta evidente che sia la Russia il nucleo principale della resistenza, perché è bene capire che il mondo si è diviso in mondialisti e antimondialisti, tra chi vuole dissolvere le nazioni e chi invece vuole mantenere una propria sovranità nazionale, il resto sono solo sfumature ideologiche che lasciano il tempo che trovano sullo scacchiere mondiale attuale.

Le differenze naturali tra popoli e culture non possono ostacolare la vitale e necessaria alleanza per vincere la guerra decisiva in cui siamo stati condotti, perché è una vera propria guerra dichiarata dai poteri forti a popoli e nazioni, se questi ultimi si trincereranno in sterili nazionalismi isolazionisti non riusciranno mai a resistere. L'alleanza non deve essere solo militare, ma anche economica e culturale (dove ci sono i presupposti), economica perché i potentati mondialisti, detenendo le redini dell'economia mondiale o quasi, sono in grado di affamare e di far fallire a piacimento gli stati o di ricattarli (vedasi Grecia), culturale perché il mondialismo agisce anche su quel piano, imponendo un modello unico e sovversivo verso la famiglia naturale e tradizionale  (uomo, donna e prole), che è il nucleo fondante di ogni Paese, oltre ad essere trincea difensiva del singolo rispetto ad una società atomizzata che sta distruggendo tutti i corpi intermedi.

La reazione russa (il cui perno sono la Patria e la Tradizione) a questo disegno, impersonificata da Putin e dai suoi consiglieri, ha dato speranza a coloro che in Occidente intendono difendere la nazione e la famiglia (i bersagli della guerra in atto) e non è per nulla una riproposizione opposta agli USA (mondialismo), non risulta che si vogliano sostituire le basi americane in Italia ( un centinaio tra operative e non) con quelle russe, passare dalla padella alla brace non comporta cambiamento di risultato, ovvero la minaccia alla sovranità nazionale.

E' bene ricordare che, nonostante la propaganda, la Russia putiniana non minaccia la sovranità altrui. L'Ucraina, nota dolente attuale, ha avuto piena autonomia dal 1991, persino sotto Yanucovich. Egli è stato erroneamente definito come succube di Mosca visto che “ha cercato sempre di tenere il piede in due scarpe, professando la vocazione europea del Paese senza cedere, però, sull’eroina della rivoluzione arancione e resistendo alle avances di Vladimir Putin” (1). Yanucovich successivamente, percependo la portata e la minaccia costituita dai dettami del FMI, si rivolse a Mosca per ottenere sostegno finanziario, ma solo perché costretto e non di certo perché imposto da Putin. Sappiamo bene poi cosa successe.  

Il disordine odierno è frutto del colpo di stato di natura russofoba (giustamente contestato dalla Russia) che minaccia l'esistenza stessa dei russi in Ucraina (il 2 Maggio 2014 ad Odessa se ne è avuto un assaggio), costretti alla legittima difesa. Prima di esso non ci furono mai ribellioni né richieste separatiste nel Donbass, nonostante il Paese non fosse propriamente “filorusso”.

Non è nell'interesse di Mosca avere vassalli (sempre a rischio ribellione, basti pensare alle rivolte in Est Europa che costrinsero l'URSS a reprimerle nel sangue), si vuole avere interlocutori non ostili che non danneggino i propri interessi vitali (sacrosanto diritto), oltretutto non avrebbe neanche i mezzi per operare in tal senso, non essendo a capo di alleanze militari comparabili alla NATO. La Russia attuale non ha l'impostazione a vocazione egemonica che caratterizzava l'URSS, non essendo spinta da un'ideologia virulenta che faceva di essa la propria base. La proposta russa è quella multipolare, che per definizione prevede diversi poli di potere, con a capo gli stati sovrani.

Il trauma e l'impostazione della Guerra Fredda devono essere superati, “terze posizioni” ad oggi non hanno motivo di esistere, non si tratta più di rifiutare l'egemonia ideologica-politica-economica americana o russa, ma di opporsi al disegno descritto poc'anzi. 

I carri russi sparsi per l'Europa non li vuole nessuno, ma prendere esempio da chi si sta mostrando vincente nel combattere la dissoluzione è essere realisti, lungimiranti e intelligenti, ciò vuol dire cooperare attivamente per unire le forze per i rispettivi interessi. Il “non abbiamo bisogno” è sinonimo di ottusità. 

Un concetto che dovrebbe essere percepito da alcune aree politiche, a cominciare da certi nazionalisti, che non comprendono l'importanza e l'essenza della ricerca dell'amicizia con la Russia, figli  e “nostalgici” di un'autarchia ideologica che poggia su una retorica improponibile di fronte a cotanto potentissimo nemico.

Riferimenti:

1) Ucraina, la conferma di Yanucovich

mercoledì 27 maggio 2015

La Russia vuole l'autarchia nell'informatica?



L'elettronica oramai è vitale per ogni essere umano, trovare persone che non abbiamo una casella di posta elettronica è quasi impossibile dalle nostre parti, per non parlare della diffusione dei cellulari di ultima generazione (i cosiddetti smartphone). La Russia post-sovietica non fa eccezione ed anch'essa inevitabilmente deve fare i conti con le “diavolerie” a circuiti integrati.  

Nella terra degli Zar sembrano voler dimenticare definitivamente i tempi sovietici in cui si ricorreva anche alla tecnologia informatica occidentale per ridurre il divario tecnologico tra i blocchi nella Guerra Fredda.

Il mondo informatico è attualmente dominato dai colossi americo-asiatici, tutti conoscono multinazionali come Intel, HP, AMD, Samsung, Apple, Sony, Lenovo, Huawei, LG, Microsoft, mentre la Russia, nuova potenza dell'economia mondiale, solo adesso si sta affacciando nel mondo dell'elettronica di massa.

Dopo il terribile periodo di transizione a seguito della caduta dell'URSS, in cui la Russia fu inondata di merci straniere, si sta recuperando il tempo perduto e la scelta sovranista e “autarchica” impressa alla politica da parte del presidente Putin si riflette in tutto visto che il “ministro delle telecomunicazioni Nikolai Nikiforov ha annunciato in queste ore di voler contrastare lo strapotere di Android e IOS con un os casalingo preparato sulla base di Sailfish, il sistema operativo open source attualmente mantenuto dai finlandesi di Jolla. La Russia oggi fa affidamento su soluzioni occidentali per circa il 95% dei suoi smartphone, mentre il ministro vuole abbassare questa percentuale al 50% entro 10 anni. Le motivazioni sono molteplici: prima fra tutte un più generico desiderio da parte del governo di ridurre la dipendenza del paese dall’ovest del mondo” (1).

La Russia ha già punte di eccellenza in ambito software, ne è testimone la celeberrima azienda di prodotti per la sicurezza informatica Kaspersky Lab, fondata da Eugene Kaspersky nel 1997. Egli è un genio informatico proveniente dal settore militare (KGB), vera fucina delle migliori menti russe, I suoi antivirus (internet security) sono tra i migliori al mondo e apprezzati anche in Occidente.   

Si stanno facendo strada aziende produttrici di hardware, come la DEPO Computer, che nel 2014 ha lanciato sul mercato il tablet Myst R80, prodotto interessante supportato da un potente processore quad-core Intel Atom Z3745 da 1,80 GHz con 2 GB di RAM, con  schermo da 8,3” FHD IPS, SSD da 64 GB, WIFI + LTE, certificazione IP65 e s.o. Windows 8.1 Pro a 64 bit, funzionamento garantito tra i -10 e i 50 °C, il tutto protetto da un vetro Gorilla Glass 3. Il suo prezzo di listino è di 81.417 rubli (circa 1477 €), alto, nonostante le peculiarità destinate ai professionisti del settore industriale, se confrontato con prodotti occidentali. Un Surface Pro 3 della Microsoft  in Italia parte da un prezzo di listino di circa 869€,  ad esempio. 

Nell'informatica opera anche la RoverComputers, che produce dagli anni '90, nota per aver immesso sul mercato russo nel 2010 il Rover Pad, tablet di cui adesso vi sono diverse versioni (Tesla, Air, Sky, Pro, 3W) tutte basate su architettura ARM e s.o. Android.

Altro marchio informatico russo è Desten, produttore e distributore di computer di ogni tipologia fin dal 1995.

I microprocessori sono il cervello degli elaboratori elettronici e la russa MCST vorrebbe cominciare ad impensierire i colossi americani Intel e AMD (2), sfornando diversi processori, tra cui l'Elbrus-4C (interamente progettato a Mosca) che è già montato su diversi computer in vendita in Russia. Si tratta di un processore quad-core con 800 Mhz di frequenza, costruito con una litografia a 65 nanometri e TDP di 45W, senza GPU integrata. Consumi buoni, ma prestazioni lontane rispetto a Intel, che ha sul mercato della grande distribuzione processori quad-core (8 Thread) con frequenze fino a 4,40 GHz a 22 nm e TDP di 88W. Il colosso americano sulla sua quinta generazione di Intel Core ha usato una litografia a 14 nm, mantenendo TDP di soli 15W. La strada per raggiungere simili traguardi è per i russi ancora lunga, circa 5 anni di tecnologia da recuperare.

Interessante risulta l'Elbrus-8C, destinato a server e workstation, potente processore octa-core a 28 nm, necessariamente costruito a Taiwan in quanto in Russia non esiste ancora la tecnologia adatta, ma secondo gli esperti del settore è un grande passo in avanti. La MCST ha già firmato accordi col governo russo per la produzione di futuri microchip ad alte prestazioni.  

La MCST non è l'unica e in questi giorni è stata annunciata l'uscita sul mercato del processore “commerciale” Baikal-T1, discreto dual-core a 28 nm e TDP di soli 5W prodotto dalla Baikal Electronics, destinato ad apparecchi mobili fanless (senza ventola di raffreddamento). 

Il mercato dei cellulari di ultima generazione è in continua espansione e l'ex-URSS non fa eccezione. Anche in Italia è arrivato lo Yotaphone 2, il primo telefono con due schermi al mondo, prodotto di punta del marchio russo Yota. E' supportato da un potente processore quad-core Qualcomm Snapdragon 801 a 2,2 GHz (leggermente meno performante di quello di HTC M8), 2 GB di RAM, 32 GB eMMC (non espandibile), schermo da 5” Amoled FHD da 442 ppi con vetro Gorilla Glass 3, fotocamere da 8 MPX e 2,1 MPX, s.o. Android Kitkat 4.4. Non male come dotazione, ma la nota dolente è rappresentata dall'autonomia della batteria in navigazione internet, inferiore a 5 ore sia in WIFI che in LTE. Il prezzo ufficiale è di 599€, decisamente caro, visto che la concorrenza a cifre di poco superiori offre prestazioni nettamente migliori, ma l'avere il doppio schermo (seppure il secondo è di capacità limitate) è un fattore di originalità che lo rende unico. 

I russi hanno assemblato un ottimo prodotto e chissà magari faranno breccia nel cuore del loro Primo Ministro Dmitry Medvedev, noto estimatore di Apple.

Questo nuovo corso è sicuramente sostenuto dal governo russo che, in una situazione geopolitica tesa in cui è sottoposto a sanzioni discutibili, cerca di diminuire sempre di più la dipendenza dalle importazioni di merce estera. Gli scandali sulla NSA rivelati da Edward Snowden hanno spinto ancor più la classe dirigente russa a cercare in casa ciò di cui necessita la nazione, in modo da evitare l'uso di dispositivi di cui la sicurezza è dubbia. 

A ribadire il concetto c'è anche Sergey Makarov, dirigente della Stankoprom OJSC, azienda produttrice di macchine utensili e attrezzature industriali elettromeccaniche, che ha affermato: 

"Uno dei compiti più importanti del settore russo nell'attuale situazione geopolitica è ottenere l'indipendenza tecnologica e la sostituzione delle importazioni di unità del sistema di controllo di moderne macchine utensili. Oggi siamo di fronte a restrizioni per l'importazione di dispositivi tecnologici per le produzioni moderne, compresi i dispositivi CNC. Il futuro del settore delle macchine utensili nazionali dipende dalla nostra capacità di sviluppare e produrre questi dispositivi per conto proprio, senza dipendere da fornitori esteri anche al livello della microelettronica" (3). 

Il futuro vedrà una presenza sempre più massiccia sul mercato mondiale di prodotti informatici russi che concorreranno con quelli cinesi, europei occidentali, americani, coreani e nipponici. Sarà una lotta fino all'ultimo transistor.


Riferimenti:



domenica 10 maggio 2015

Child 44, film da Guerra Fredda



I mezzi di comunicazione sono da sempre mezzi usati per influenzare le persone, utilizzati per far passare determinati messaggi. La propaganda può anche sfruttare una tempistica oculata, scegliendo un determinato periodo in cui far  pubblicare un libro o proiettare  un film. Negli anni della  Guerra Fredda ciò  era consueto.


Il caso del film Child 44 sembrerebbe usare sottilmente tale tattica, visto l'evidente antisovietismo della pellicola, uscita poco prima della celebrazione del 70° anniversario della vittoria dell'URSS sulla Germania hitleriana (fiore all'occhiello del periodo stalinista e apogeo del patriottismo russo). 


Una sottile arma di influenza in un contesto storico, come quello attuale, in cui le frizioni tra Russia ed Occidente ci hanno riportato ai tempi della Guerra Fredda, che evidentemente è stata percepita a Mosca, tanto che il distributore russo Central Partnership (avallato dal ministero della cultura russo) non ha fatto e non farà proiettare il film, facendo uscire un comunicato in cui “i membri del Ministero e del distributore hanno convenuto che l'uscita del film prima del 70 ° anniversario del Giorno della Vittoria non è ammissibile”(1). 

La decisione del distributore russo ha avuto conseguenze anche per quelli in Bielorussia, Kazakistan e persino Ucraina, dove non verrà proiettato nonostante il governo di Kiev “ha dato il permesso di mostrare il film senza riserve” (2) e suscitando al reazione del giornale britannico The Guardian che, pur riconoscendo a Putin di non essere un apologeta di Stalin , definisce controproducente per la Russia tale decisione (3).


In Child 44, uscito il 17 Aprile 2015, si è cercato di fondere la rappresentazione storica e la trama dello spionaggio, sempre avvincente per il grande schermo. E' un giallo ambientato nell'Unione Sovietica di Stalin degli anni 50, in cui l' eroe di guerra Leo Demidov, agente dell’MGB  (polizia segreta), si ritrova ad indagare su una serie di omicidi di bambini, ma viene ostacolato dal sistema sovietico e dalla repressione che colpirà lui e la moglie Rajsa, che finirà accusata di tradimento.  Il film, si apre con una digressione sui fatti dell'Holodomor, l'immane carestia che colpi' l'Ucraina negli anni 30, causando milioni di vittime, risultato di politiche scellerate ma anche di circostanze sfortunate, estese anche in altre zone dell'URSS.  


Nell'opera cinematografica viene traslata la vicenda reale del tristemente noto “Mostro di Rostov” Andrej Romanovič Čikatilo, omicida e seviziatore di donne e bambini (53 vittime) che imperversò tra il 1978 e il 1990 in URSS. Egli impegnò la polizia sovietica in un'estenuante indagine (conclusasi con l'arresto nel 1990 e la pena capitale nel 1994), nonostante il sistema sovietico ufficialmente non ammettesse l'esistenza di crimini aberranti come quelli sui bimbi, cannibalismi, sevizie e stupri seriali, in quanto ritenuti crimini tipici delle società “edonistiche capitaliste”, concetto espresso nel film con la frase “non possono esserci omicidi in Paradiso”.  



Nei Paesi socialisti fortemente ideologizzati certe derive oscurantiste erano possibili, nella Germania dell'Est la comparsa della sottocultura skinhead dopo il 1980 portò alla comparsa persino degli Skinhead 88 (volgarmente definiti naziskin), fenomeno ignorato dal regime che non riconosceva come possibile la loro esistenza in un Paese “denazificato” in cui erano state rimosse le cause, fin quando dovette ammettere che i germi occidentali avevano penetrato il Muro (non vi era altra spiegazione per esso), dato che nel 1988 furono schedati ben 800 estremisti “reazionari”.



Risulta alquanto originale la scelta di ispirarsi al Mostro di Rostov cambiandone contesto temporale, inflazionandone l'atmosfera da incubo ed effettivamente chi ha visto il film ha percepito la volontà di descrivere la società sovietica come disumana e senza un minimo di speranza, una descrizione che risulta troppo pesante per i russi. Uno spaccato della vita nell'URSS dopo il superamento del trauma della guerra contro Hitler , ma che ha fatto i conti con lo stato stalinista, massima espressione del totalitarismo in versione comunista. 


Daniel Espinosa, foto : Wikipedia
Il regista, Daniel Espinosa, ha voluto usare i fatti storici più oscuri della storia sovietica per contestualizzare il film, passando dall' Holodomor alla presa di Berlino, fino agli ultimi tempi del regime di Stalin, giustificando in parte tale scelta con la motivazione dell'emigrazione dei genitori in Svezia per sfuggire al regime di Pinochet, dai quali ha ascoltato le storie sulla dittatura. Viene descritta in maniera esasperata l'essenza della società sovietica del tempo, senza risparmiare la crudezza nelle scene del film, che resta apprezzabile dal punto di vista scenografico e della trama. Ottima anche l'interpretazione dei due attori principali, perfettamente immedesimati nei loro ruoli.  La tempistica dell'uscita film, ha fatto storcere il naso a molti, le polemiche su esso erano abbastanza intuibili agli addetti ai lavori e per chi si occupa di politica internazionale e geopolitica.

La decisione di non farlo proiettare in Russia potrebbe essere una mossa per far comprendere all'Occidente di evitare simili mosse in funzione propagandistica, dando magari il via libera alla proiezione una volta che l'atmosfera si sarà raffreddata.. Putin per il resto si è espresso chiaramente sul Comunismo ed è lontano dall'essere definibile apologeta di esso.

Per gli amanti del genere è un film consigliato, ma ad un occhio attento non sfuggirà la sottile volontà propagandistica che, seppur conforme con la realtà stalinista repressiva, risulta tendenziosa per i motivi summenzionati.


mercoledì 18 marzo 2015

Il contesto storico del film “Il segreto di Italia” e l’eccidio di Codevigo

La locandina ufficiale del film


Non si pretende di sintetizzare in poche righe un fenomeno complesso come la guerra civile in Italia, ma quantomeno di dare un piccolissimo sguardo su essa prendendo spunto da alcuni eventi.

Codevigo è un comune di quasi 7000 anime in provincia di Padova, in Veneto. Un piccolo centro sconosciuto alla quasi totalità degli italiani, non essendo una città, eppure è arrivato sotto i riflettori per merito del film di Antonello Belluco.

La storia ha fatto capolino a Codevigo, non solo per la sua genesi ed esistenza, ma anche perché fu teatro di uno dei fatti più tragici verificatisi sul finire della Seconda Guerra Mondiale, conosciuto come eccidio di Codevigo, in cui furono assassinate 136 persone (1), ma ci sono cifre contrastanti in merito.

Di eccidi la storia purtroppo è piena e sicuramente ve ne sono stati di ben più gravi, ma questo in particolare suscita interesse perché tra i più recenti in Italia, nel contesto della guerra civile, di fatti tra le vittime ci furono molti membri della Guardia Nazionale Repubblicana, la “polizia” della Repubblica Sociale Italiana, delle Brigate Nere e civili. Non solo membri dell’apparato statale fascista, ma anche coloro che venivano sospettati di simpatie e legami con esso, il tutto con processi sommari ed illegittimi. Tale crimine, perpetrato tra la fine di Aprile e il Maggio del 1945 (c’è chi dice anche Giugno) si verificò a guerra praticamente conclusa (le forze tedesche e repubblicane in Italia si arresero ufficialmente il 3 Maggio 1945).

I responsabili di tale atto furono i membri della 28a Brigata Garibaldi “Mario Gordini”, formata da partigiani e comandata dal comunista Arrigo Boldrini, detto “Bulow”, e il gruppo di combattimento “Cremona”,  facente parte dell’esercito regio italiano cobelligerante a fianco degli Alleati, tutti inquadrati alle dipendenze dell’Ottava Armata Britannica.

Accusati di indicibili torture e sevizie, oltre che di omicidio, tra le quali spiccano quelle su Mario Bubola, figlio del podestà fascista di Codevigo, a cui “cominciano a segargli il collo con del filo spinato, finché la vittima non sviene. Allora provvedono a farlo rinvenire, gettandogli in faccia secchi di acqua fredda. Ma il Martire non cede e grida ancora la sua fede in faccia ai carnefici. Allora provvedono a tagliarli la lingua che gli viene infilata nel taschino della giacca. Quindi, quando la vittima ormai agonizza, gli recidono i testicoli e glieli mettono in bocca” (2). L’accusa? Essere figlio di un fascista, nessun crimine concreto attribuibile al ragazzo.

Altro episodio raccapricciante è quello su Corinna Doardo, maestra di scuola, “una fascista, però non fanatica, piuttosto un'ingenua. Figuratevi che il 21 aprile 1945 aveva voluto celebrare per l'ultima volta il Natale di Roma, con tutto quello che stava succedendo, il fronte a un passo da Codevigo, gli inglesi e i partigiani che erano lì per arrivare. Un suo fratello, che abitava a Piove di Sacco, le aveva detto: 'Corinna, vai via da Codevigo'. Ma lei si era rifiutata di andarsene: 'Non ho mai fatto nulla di male e resterò qui'." "Quando ci fu la liberazione", ricordò la donna, "gliela fecero pagare. Andarono a prenderla a casa, la portarono dentro il municipio e la raparono a zero. La punizione sembrava finita lì e invece il peggio doveva ancora venire. Le misero dei fiori in mano e una coroncina di fiori sulla testa ormai pelata e la costrinsero a camminare per la via centrale di Codevigo, fra un mare di gente che la scherniva e la insultava. Alla 
fine di questo tormento, la spinsero in un viottolo fra i campi. E la uccisero, qualcuno dice con una raffica di mitra, altri pestandola a morte sulla testa con i calci dei fucili" (3). Fu uccisa il 30 Aprile, come testimoniato dal parroco locale. 

Gli ultimi reparti tedeschi lasciarono Codevigo il 29 Aprile, mentre i partigiani arrivarono il 30 Aprile, con già al seguito alcuni prigionieri fascisti di zone vicine (romagnole in primis), con l’intento di operare rastrellamenti per catturare i “repubblichini” rimasti. Una volta individuati venivano assassinati e i corpi venivano seppelliti in fosse comuni o gettati in corsi d’acqua.

“Lo stesso Arrigo Boldrini “Bulow” nei suoi diari (pubblicati nel dopoguerra) ha confermato le esecuzioni, sebbene ne abbia attribuito la responsabilità alla divisione Cremona, un reparto partigiano di stanza anch’esso nella zona di Codevigo, o al caos delle notti. Il 6 maggio ’45 Bulow ha scritto: «Ci giunge notizia che “Cremonini” (della divisione Cremona) e altri partigiani, sollecitati dai rispettivi comandi, danno caccia a fascisti e presunti tali. È molto difficile intervenire a causa dell’asprezza criminale della condotta nazifascista durante il conflitto», e il 10 maggio ha descritto «gruppi autonomi ed incontrollati che agiscono di notte senza rendere conto dell’operato. Occorre ricordare che gli animi sono esasperati; molti partigiani hanno avuto le famiglie massacrate dalle forze nazifasciste». Va specificato che le esecuzioni di Codevigo furono sommarie e ai danni di persone che non erano stati responsabili dei massacri nazifascisti” (4). Tra le vittime quindi sembra non esserci alcun personaggio che si sia distinto nei massacri “nazifascisti” o presunti tali, molti erano braccianti agricoli e operai che avevano aderito alla R.S.I. Si trattò di una vendetta politica e/o personale, servita anche con decenni di ritardo.

Nessuno ha pagato per quel crimine e “i comandi della 28a e del "Cremona" non furono mai soggetti a procedimenti penali poiché i fatti si svolsero al di fuori e contro gli ordini da loro emanati e a loro insaputa” (5). Tesi alquanto controversa e discutibile.

Una certa storiografia, immarcescibilmente faziosa, tende a giustificare tali atti esecrabili tirando in ballo le violenze fasciste effettivamente accadute o presunte, persino quelle durante il cosiddetto “Biennio Rosso” (1919-1920), periodo in cui la nazione italiana stava per collassare a causa di spinte rivoluzionarie di stampo anarco-comunista, paralizzata da migliaia di scioperi e sommosse armate.

Non mancarono episodi raccapriccianti anche in quel periodo, dove si moriva se si gridava “Viva l’Italia”, come capitò allo scout Pierino Del Piano per mano di filobolscevichi (6), che fascista non lo era affatto.  Sempre durante il Biennio Rosso, “il caso del fascista Guido Pallotti, accoltellato in pieno centro a Teramo nel 1920 durante una rissa politica, fu ancora più eclatante: gli imputati vennero assolti nel Dicembre 1923 per l’impossibilità di identificare il vero esecutore. Appare singolare come ferocia, quella di una dittatura che non solo non vendica i suoi martiri uccisi dal nemico prima della presa del potere, ma che li giudica senza forzature giuridiche…mentre dal regime mussoliniano si poteva fuggire: In URSS giunsero circa 650 rifugiati politici tra il 1924 e il 1936” (7). 

Non si vuole certamente equiparare un contesto di pace con uno bellico, nella Repubblica di Salò la repressione fu dura e non esente da efferatezze, ma anche gli stati democratici e ipergarantisti odierni in casi eccezionali e/o di guerra ricorrerebbero alla legge marziale per mantenere l’ordine.   I partigiani e gli Alleati, già consci della vittoria imminente o appena conseguita, non dovevano macchiarsi con simili barbarie. 

In Italia quasi tutta la popolazione, salvo pochissime e coerenti eccezioni, fu collusa col Fascismo, il quale aveva un consenso, mantenuto con metodi poco ortodossi, ma ben lontano dal terrore hitleriano o staliniano, visto che “ci vollero otto anni prima che a Mussolini l’ultimo professore prestasse giuramento; a Hitler bastarono otto settimane” (8).  

Non fu sempre antifascista Arrigo Boldrini, corresponsabile morale dell’eccidio di Codevigo, che militò come “capomanipolo” nelle milizie fasciste negli anni precedenti alla guerra, cosa fatta passare in secondo piano. Dov’era “Bulow” prima dello scoppio della guerra? Come mai non fu incarcerato o esiliato durante il regime? Aderi’ al Partito Comunista solo nel 1943. La sua giovane età (nacque nel 1915) non giustifica del tutto ciò, visto che la storia è piena di giovanissimi eroi morti per i propri ideali, Bobby Sands mori’ in carcere a soli 27 anni. 

Piaccia o no, molti dei partigiani e degli antifascisti, saltati fuori dopo la caduta di Mussolini, furono dei rinnegatori saliti sul carro dei vincitori. “Secondo Renzo De Felice, a fine guerra i partigiani censiti erano un po’ più di trentamila, mettendo in conto anche gli opportunisti dell’ultima ora, arruolatisi a risultato certo con la prospettiva di lavoro, pensioni e onorificenze…gli aderenti alla Repubblica Sociale Italiana, con la certezza di andare incontro alla sconfitta, erano stati oltre ottocentomila di cui buona metà volontari” (9). 

Si può, nonostante ciò, riconoscere ad alcune formazioni partigiane un certo valore e coraggio, spesso vittime loro malgrado di rappresaglie da parte di partigiani iper-politicizzati (perlopiù comunisti). Emblematica fu la strage di Porzus, dove furono massacrati i vertici della Brigata Osoppo, sospettata di collaborare con la Xa MAS e formazioni parafasciste in funzione anticomunista e antislava, di fatti cosi’ si espresse Aldo Moretti, uno dei fondatori della Osoppo:  

“La Grande Slovenia, volevano i partigiani comunisti. Noi volevamo solo combattere per la libertà, non per il comunismo, ed eravamo favorevoli a lasciare ad un referendum dopo la liberazione la scelta sui confini… Bolla, il comandante, alzava la bandiera, bandiera italiana, bandiera con lo stemma sabaudo. Io lo mettevo in guardia: attento, gli dicevo, la vedono i comunisti e i partigiani sloveni, quello stemma a loro ricorda il fascismo, toglila” (10).

Orrenda fu l’esecuzione del giovanissimo Rolando Rivi (14 anni), seminarista, invitato più volte dai genitori a non girare in abito talare per paura di ritorsioni comuniste, a cui fu lasciato un biglietto con la seguente dicitura: "Non cercatelo. Viene un attimo con noi partigiani”.   “Rolando era tornato al paese. Un giorno - 10 aprile 1945 -, dopo aver suonato e cantato alla santa Messa, prese i libri come al solito e si recò a studiare nel boschetto vicino. Fu catturato e rinchiuso in una stalla. Il ragazzo fu spogliato, insultato e seviziato con percosse e cinghiate per ottenere l’ammissione di una improbabile attività spionistica. Ma Rolando – fu accertato al processo penale di qualche anno dopo – non poteva confessare niente, perché le accuse erano totalmente false. Dopo tre giorni di sequestro, con una procedura arbitraria e a insaputa dei capi, il 13 aprile 1945, il ragazzo fu prima barbaramente mutilato e poi assassinato con due colpi di pistola, uno alla tempia sinistra e l’altro al cuore” (11).   

Dimenticanze da parte di chi vive con frustrazione la non riuscita della “rivoluzione proletaria” in Italia, ostile a qualunque tipo di “riconciliazione nazionale” e di accettazione della propria storia.

L’elenco sarebbe molto lungo e ci vorrebbero libri interi per elencare le terribili vicende della guerra civile, in cui sono invischiati entrambi gli schieramenti, ma l’ottusità ipocrita da parte di un certo schieramento politico ed ideologico non è più sopportabile, arrivando persino a boicottare un film che tratta un evento realmente accaduto. Il volere occultare o ridimensionare i propri “scheletri nell’armadio” risulta penoso e irritante per chi esige dalla storia la verità.  








7) Pietro Ferrari, Fascismi: analisi, storie, visioni, 2014 edizioni Radio Spada, pag. 13-14

8) Emil Ludwig, Tre ritratti di dittatori: Hitler, Mussolini, Stalin, 2013 Gingko edizioni, pag. 101. 

9) Pietro Ferrari, Fascismi: analisi, storie, visioni, 2014 edizioni Radio Spada, pag. 57

10) Strage di Purzus, un'ombra cupa sulla resistenza 

mercoledì 11 febbraio 2015

Rimpiangere la Guerra Fredda?

immagine: deviantart.com


Per 46 lunghi anni il mondo ha sperimentato la contrapposizione di due superpotenze a capo di due blocchi di alleanze, rette da sistemi economici e politici opposti, la cosiddetta “Guerra Fredda”.

Un periodo fatto di tensione, distensione e confronto, attraverso fasi da guerra “guerreggiata” (Corea 1950-1953, Vietnam 1960 -1975 e Afghanistan 1979 -1988),  crisi gravissime (blocco di Berlino 1948, missili a Cuba 1962 ed esercitazione Able Archer 1983) in cui si sfiorò anche la guerra nucleare.

Decenni segnati da criticità acutissime, ma che non hanno mai condotto ad un vero e proprio scontro diretto tra le due superpotenze egemoni dell'epoca, USA ed URSS. Non si è arrivati a ciò, nonostante ci si è andati vicinissimi, per una serie di motivi, primo fra tutti l'equilibrio.

Trattando quel periodo, ritorna in mente una celeberrima definizione, ovvero “equilibrio del terrore”, sintesi estrema ed esaustiva della situazione in cui il mondo si ritrovò per diversi anni, ad un passo dall'abisso, ma in realtà trattenuto da una solidissima catena, di fatti mai spezzata, costituita dalla consapevolezza dei contendenti di non poter prevalere sull'avversario. La “mutua distruzione assicurata” non fu mai messa in discussione e lo schieramento militare era ottimizzato in tal senso.

Nonostante lo scenario da incubo, coloro che controllavano gli interessi economici trovarono il modo imporre la distensione e la “coesistenza pacifica”. La collaborazione in campo economico fu la base per appianare le divergenze. Si trovò un modo per superare gli ostacoli dovuti ai differenti sistemi economici, operato dai potentati finanziari e dalle multinazionali, che approfittarono delle falle del sistema statalizzato vigente ad Est, bisognoso di valuta straniera pregiata e tecnologia.

Leonid Breznev, coaloalab.altervista.org
Lo stesso Breznev affermò nel 1972:

"Noi comunisti dobbiamo collaborare insieme con i capitalisti per un po'. Abbiamo bisogno di loro crediti, della loro agricoltura e tecnologia.”

Esempi  lampanti furono gli accordi per il grano (a causa della crisi cerealicola in URSS a metà degli anni 70) e la coproduzione, in cui i regimi dell'Est prestavano manodopera, suolo e strutture, mentre le multinazionali contribuivano con macchinari, tecnologia e brevetti. Una parte della produzione veniva smerciata in vari Paesi del Comecon (1), mentre le multinazionali rivendevano parte di essa in Occidente, incassando notevoli guadagni, dovuti al minor costo della manodopera, più basso fino a dieci volte. In sostanza la medesima strategia attuale, dove le aziende abbandonano i Paesi più progrediti per dislocare verso Paesi in via di sviluppo, con minori costi di produzione. senza gravose tutele sindacali ed ovviamente senza incorre a scioperi da parte delle maestranze. Anche le imprese miste o “joint-venture”  furono emblema della convergenza capitalisti e burocrati dell'Est, in cui tramite sotterfugi normativi si consentiva l'ingresso nella proprietà delle imprese dei capitalisti, in percentuali variabili.

Tale politica ha permesso alla Pepsi di produrre in URSS a Novorossiysk (1974), tanto per fare un esempio, ma la lista sarebbe lunga, per non parlare del comparto elettronico in cui l'apporto della IBM fu determinante. Anche l'Italia (Montedison, Fiat ecc...), fu introdotta in questo sistema simbiotico.
Salvardor Allende, theobservers.net
Le multinazionali hanno da decenni un potere immenso, quando Salvador Allende accusò indirettamente la ITT (2) di contribuire al tentativo di voler rovesciare il suo governo all'assemblea delle Nazioni Unite (3), egli parlava da microfoni prodotti da essa ed i suoi ascoltatori , in un modo o nell'altro, si servivano di prodotti e mezzi della ITT. Gli stessi dirigenti sovietici, solidali sulla carta con Allende, poco prima avevano concluso un accordo commerciale decennale con l'ITT, che operava in URSS già dal 1968 e riforniva addirittura dal 1955 gli aeroporti sovietici di apparecchiature, essenzialmente a Mosca avevano le mani legate e per Allende il destino fu segnato.
Egli accusò l'onnipotenza delle multinazionali che sono al di sopra di ogni autorità statale, discorso vano, visto come andarono poi a finire le cose.  Il coinvolgimento della ITT nel golpe cileno sembra essere stato determinante, visto che la politica di Allende poteva intaccare gli interessi di essa e di altre multinazionali, timorose delle nazionalizzazioni e non a caso poi una volta che si insediò Pinochet affermò:

Augusto Pinochet, history.com
“Il vero nazionalismo non consiste nel rifiutare il capitale straniero”.

Il Vietnam può essere catalogato come un lucroso incidente di percorso, che  poi fu chiuso in maniera discutibile da parte degli USA, dopo anni di combattimenti che hanno riempito le tasche delle industrie di armamenti,  abbandonando il governo fantoccio di Saigon al suo destino, una volta diventato insostenibile dal punto di vista finanziario (ogni aereo perso significava assegni di svariati milioni di dollari per la Lockeed). Per dovere di cronaca si riporta il fatto che Ho Chi Minh, una volta vinto, mantenne e pretese il mantenimento degli accordi stipulati da Saigon in precedenza con colossi del settore per lo sfruttamento di giacimenti petroliferi. Le multinazionali non perdono mai e nonostante restrizioni di facciata ostacolate dalle grandi industrie (emendamento Jackson-Vanik del 1974) le relazioni commerciali tra i blocchi non si fermarono mai.

Tutto ciò sta a dimostrare che gli interessi economici dei colossi finanziari e industriali dominano la politica da anni e non il contrario, avendo il potere di imporre guerre o distensioni a seconda delle circostanze. Le relazioni economiche tra i due blocchi, quindi tra i magnati occidentali e i burocrati comunisti, iniziarono ben prima della Ostpolitik di Willy Brandt e degli accordi tra Nixon e Breznev (1971), che furono una loro conseguenza.

Gli stati dell'Est dal canto loro operavano in Occidente attraverso imprese controllate da essi, in Italia ad esempio Sovitalmare, Sovitpesca, Ruslegno, Stan , tutte aziende sovietiche (4).

La "comunistizzazione" dell'economia di mercato, auspicio della retorica marxista proclamata a Mosca del capitalismo terminale, non si realizzò e non ci furono "teste di ponte" socialiste in Occidente, ma solo un capitalismo di proprietà comunista, che non bastò a tenere in piedi il sistema sovietico.

In estrema sintesi, se la guerra fredda non si trasformò in un olocausto nucleare è anche perché essa non intaccò i profitti delle élites capitaliste, che trovarono modo di fare lucrosi affari tra i due litiganti (Est-Ovest), avendo quindi l'interesse a non guastare lo status quo il più a lungo possibile.

La traumatica esperienza della Seconda Guerra Mondiale fece in modo che i politici dell'immediato dopoguerra affinassero la loro abilità diplomatica  onde evitare ad ogni costo un conflitto armato e non a caso di guerre in Europa non ne abbiamo visto, malgrado l'altissima tensione. Come già detto in precedenza i potentati economici avevano trovato il modo di guadagnarci e tutto è filato liscio, mentre la superpotenza americana, al massimo della sua forza, reggeva tranquillamente la competizione con l'URSS, dandole la spallata finale negli anni 80 con la politica aggressiva di Ronald Reagan. L'egemonia americana non era messa in discussione e  il Dollaro restava la moneta “mondiale”, ciò ha garantito la pace. Il sistema “Vodka-Cola” ha fatto superare brillantemente le crisi peggiori.

Ben diverso è lo scenario odierno, che qualcuno frettolosamente definisce una nuova guerra fredda. Le condizioni di oggi sono ben diverse rispetto a quelle antecedenti il crollo del Muro di Berlino.

 Nel 2015 ci ritroviamo con l'unica superpotenza superstite in decadenza, falcidiata dalla crisi economica e politica, che ha operato scelte discutibili e si è impantanata in conflitti logoranti sia attraverso l'intervento diretto (Afghanistan, Iraq) sia indiretto (Siria), i quali si sono rivelati un boomerang.

L'emergere della Russia di Putin a nuova antagonista geopolitica, a cui vanno aggiunti i sornioni colossi cinese e indiano, non fa dormire tranquilli a Washington. La politica putiniana sta mettendo in discussione il primato dei potentati economici nella gestione dei settori strategici (ricordiamo l'affare Yukos...), sottomettendo questi ultimi agli interessi nazionali, una inversione di tendenza che sta mettendo in allarme Wall Street e la City di Londra, veri ispiratori della politica di Barack Obama. A Mosca non si guarda solo alla Borsa, ma anche all'interesse della nazione e del popolo.
Putin sta crescendo in popolarità ed è ricevuto da Paesi di mezzo mondo come interlocutore credibile, mentre una sterile propaganda occidentale lo dipinge falsamente come isolato.

La Russia odierna, come l'URSS e l'Impero Russo in passato, è custode di quel “cuore del mondo” che il celeberrimo studioso geopolitico Mackinder collocò nel centro del continente asiatico e nella Siberia. Un'immensa distesa di foreste e steppe ricchissima di risorse naturali, ancora oggi poco sfruttata. Secondo Mackinder chi controlla quella parte del mondo controlla tutto il resto.

Gli USA, in crisi, hanno bisogno per reggere alle sfide future delle risorse dell'Asia centrale, mettendovi mano attraverso le onnipotenti multinazionali che reggono la loro economia, le quali non vedono l'ora di sfruttare la Siberia per ricavare profitti inimmaginabili per decenni.
Gli Stati Uniti attuali non sono più garanti di equilibrio, perché sono sull'orlo del collasso, il Dollaro è messo in discussione nel suo ruolo primario nelle transazioni internazionali.

Un atteggiamento aggressivo si evince non solo di fronte ai nemici “tradizionali” (Iran, Siria, Corea del Nord) , ma anche con gli alleati. La UE (Germania) e l'Euro, seppur inseriti nel contesto economico occidentale dominato dagli USA, vengono in qualche misura percepiti come minaccia.

Emmanuel Todd, les-crises.fr
Lo storico e sociologo  francese Emmanuel Todd (5) è arrivato a formulare la tesi secondo la quale la guerra in Ucraina in realtà sia fatta in funzione antitedesca. Berlino controlla l'Europa e in Ucraina vi è uno scontro tra interessi teutonici e russi. In buona sostanza la crisi ucraina serve a mettere i bastoni tra le ruote alla UE (Germania) e a riprendere il controllo degli “alleati” diventati un po' troppo indipendenti e potenti. La creazione del focolaio in Ucraina serve per erigere un'altra “cortina di ferro”, necessaria per compattare l'Europa agli ordini di Washington. In effetti la cancelliera Merkel è l'interlocutore principale di Putin, sembra abbastanza chiara la posizione di comparsa del presidente francese Hollande (arrivato a ripetere a pappagallo l'opzione bellica cara ai falchi americani),  mentre l'apparato ufficiale della UE (Mogherini e Tusk) rilascia perlopiù dichiarazioni a mezzo stampa, il suo peso specifico è palesemente limitato.

A Washington si preme per la guerra, mentre la Merkel ha dichiarato la sua contrarietà all'invio di armi a Kiev (6). Una divergenza di vedute che sottolinea il nervosismo della Casa Bianca.
La finanza internazionale (leggasi anche multinazionali) attraverso l'azione di George Soros evidenzia una scelta bellicosa, non in grado di placare la sua sete attualmente, quindi invece di imporre la distensione, come ai tempi della guerra fredda, farà l'esatto opposto.

Questo scenario si presenta decisamente più pericoloso rispetto a quello della Guerra Fredda, perché molto più instabile. La superpotenza di oggi non è quella di prima, la sua classe dirigente è decisamente di livello inferiore rispetto a quella del confronto con l'URSS, la sua economia boccheggia e gli alleati Europei attraverso la UE e l'Euro potrebbero sganciarsi dalla tutela americana, non più necessaria essendo crollato il Muro.

Il declino e l'eventuale implosione degli USA potrebbero non avvenire pacificamente come avvenne con l'Unione Sovietica. I segnali che arrivano sono preoccupanti e non resta che confidare nelle abilità strategiche e diplomatiche di Putin e nell'autorità e nella lungimiranza di Angela Merkel.

Immaginate se si presentasse una crisi spaventosa come quella dei missili di Cuba del 1962 oggi, con gli USA in crisi di nervi e con l'acqua alla gola, diretti da Barack Obama e con uno stuolo di “diplomatici” come John McCain, aggiungete i magnati come Soros e il quadro diventa ben peggiore di quello di 50 anni fa. Roba da far rimpiangere i tempi di Kennedy, Kissinger e Nixon.

Adesso è il tempo dello "squilibrio del terrore", forse è meglio non pensarci.

Riferimenti:

1) L'organizzazione di cooperazione economica operante dal 1949 al 1991 in Europa Orientale. Aggregava anche alcuni Paesi socialisti extraeuropei.

2) ITT Corporation Wikipedia

3) Discorso di Salvador Allende all'ONU 1972

4) La connection con il Cremlino 

5) Storico e antropologo francese, nel 1976 profetizzò il crollo dell'URSS, nel 2003 pubblicò il libro “Dopo l'Impero, la dissoluzione del sistema americano”, in cui preconizza, in base a vari studi di diverse discipline, l'implosione degli USA.

6) Discrimine tra Obama e Merkel